May December, la recensione
Nascondendo la sua natura noir dietro il dramma naturalistico May December non trova mai davvero un cuore e si tiene in superficie
La recensione di May December, il film di Todd Haynes con Julianne Moore e Natalie Portman, in concorso a Cannes
May December, nonostante faccia di tutto per mascherarlo, è un film di indagine, è un noir nella scatola di un dramma naturalista, uno in cui (come nei classici hard boiled losangelini) ogni scoperta conduce ad un nuovo mistero e addentrandosi nel quale si scopre decisamente di più di quello che si cerca, tutto mentre il tempo è scandito dall’avvicinarsi graduale al giorno del diploma delle figlie. L’obiettivo per l’attrice è capire bene come siano andati i fatti di quello scandalo, una relazione tra questa donna matura e un ragazzo giovanissimo che ora, più di vent'anni dopo, vive con lei e il figlio che hanno avuto. Le due donne si studiano a vicenda e stringono un rapporto falso, fatto di convenienze e frecciatine, perché una vuole scoprire ciò che l’altra cerca di nascondere.
Non ci sono dubbi che Haynes sappia come si lavora un film, come si sceglie una palette visiva, come si dosa anche l’umorismo grottesco (qui flirta con la presa in giro dello stile di vita da soap della donna studiata, sfruttando una colonna sonora che fa entrare ad orologeria) e soprattutto come si ambisce a creare un film con più di un livello di lettura. Ce ne sono di più sul fatto che May December riesca a trovare quel territorio ambiguo nel quale le intenzioni del film e la disposizione dello spettatore si incontrano per generare un senso che non sia solo quello della trama, ma emerga dai semi che gli spunti mettono nella testa di chi guarda.