May December, la recensione

Nascondendo la sua natura noir dietro il dramma naturalistico May December non trova mai davvero un cuore e si tiene in superficie

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di May December, il film di Todd Haynes con Julianne Moore e Natalie Portman, in concorso a Cannes

Todd Haynes è innamorato delle attrici e degli attori. Questo amore lo ha portato, tra i molti, alla creazione di film molto belli (Io non sono qui), film di eccezionale fattura (Lontano dal paradiso) e film totalmente piegati sulla venerazione delle attrici (Carol). Ora in May December un’attrice e il suo lavoro sono proprio il centro della storia. Natalie Portman è una star della recitazione televisiva che passa dei giorni con Julianne Moore perché la dovrà interpretare in un film sullo scandalo del quale fu protagonista. L’attrice vuole scoprire di più sulla persona che deve recitare e con la scusa di “Voglio essere certa di recitare la tua verità” in realtà cerca di capire chi sia questa donna con cinismo e senza nascondere il disprezzo verso di lei.

May December, nonostante faccia di tutto per mascherarlo, è un film di indagine, è un noir nella scatola di un dramma naturalista, uno in cui (come nei classici hard boiled losangelini) ogni scoperta conduce ad un nuovo mistero e addentrandosi nel quale si scopre decisamente di più di quello che si cerca, tutto mentre il tempo è scandito dall’avvicinarsi graduale al giorno del diploma delle figlie. L’obiettivo per l’attrice è capire bene come siano andati i fatti di quello scandalo, una relazione tra questa donna matura e un ragazzo giovanissimo che ora, più di vent'anni dopo, vive con lei e il figlio che hanno avuto. Le due donne si studiano a vicenda e stringono un rapporto falso, fatto di convenienze e frecciatine, perché una vuole scoprire ciò che l’altra cerca di nascondere. 

Se le premesse sono ottime, gli esiti lo sono decisamente meno. Questa storia non va nella direzione dell’identificazione (Natalie Portman, nonostante qualche accenno come la scena del trucco, non diventa Julianne Moore) né in quella dello scavo nel lavoro dell’attrice. Un finale sul set che conferma la centralità di quel tipo di lavoro, della recitazione e dello studio professionale all’interno del film, non risolve granchè e non contribuisce al senso generale. E anche la scoperta di una vera vittima in tutta questa storia, che come nei noir arriva quasi in extremis (sul tetto), è molto poco sfruttata. Non ci saranno reali segreti da svelare, solo reali forze in campo e reali sofferenze prima celate.

Non ci sono dubbi che Haynes sappia come si lavora un film, come si sceglie una palette visiva, come si dosa anche l’umorismo grottesco (qui flirta con la presa in giro dello stile di vita da soap della donna studiata, sfruttando una colonna sonora che fa entrare ad orologeria) e soprattutto come si ambisce a creare un film con più di un livello di lettura. Ce ne sono di più sul fatto che May December riesca a trovare quel territorio ambiguo nel quale le intenzioni del film e la disposizione dello spettatore si incontrano per generare un senso che non sia solo quello della trama, ma emerga dai semi che gli spunti mettono nella testa di chi guarda.

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