MaXXXine, la recensione: un salto negli anni '80 per chiudere la trilogia di X

Per chiudere la trilogia Ti West salta negli anni '80 e fa di MaXXXine un pastone di generi d'epoca, più divertente che sensato

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di MaXXXine, il film di Ti West che chiude la trilogia iniziata con X - A Horror Story e Pearl

Non è un horror ruvido nello stile di Non aprite quella porta e non è una storia gotica come Pearl. In accordo con la sua ambientazione anni ’80 MaXXXine è un giallo italiano, anzi l’imitazione americana di un giallo italiano, una storia di tacchi e coltellacci, ricamata di capelli cotonati e rossetti, luoghi bui dove non si dovrebbe stare e esplosioni di violenza. Tuttavia, è il terzo capitolo della saga di Pearl e Maxine, la quale dopo aver partecipato a un film porno conclusosi in carneficina, si ritrova nella Los Angeles degli anni ’80 come attrice porno di successo, determinata a fare il salto nel cinema mainstream.

Per gran parte del tempo, questa storia sembra uno slasher senza omicidi, più preoccupato di aderire ai generi della sua epoca che alla sua epoca stessa. Ne presenta tutti i luoghi comuni e le caratteristiche, ma trattiene il coito dell'omicidio mentre introduce i personaggi attraverso le aspirazioni della sua scream queen, Maxine, che è così ambiziosa che forse parteciperà a un film di serie B con una regista altrettanto ambiziosa, in una storia di persone ambiziose. Del resto questo è ciò che Ti West ha raccontato in questi tre film su spettacolo, sesso e violenza: il modo in cui il desiderio di entrare nel mondo dello spettacolo attira prevaricazione e sopruso sessuale, che i suoi personaggi trasformano in sangue ed efferatezze per esplicitarne (a nostro beneficio) la natura violenta.

X, Pearl e MaXXXine appartengono a generi diversi ma sono tutti collocati nel medesimo punto dello spettro che esiste tra cinema commerciale e autoriale, li uniscono non tanto le trame e non necessariamente i personaggi, ma più il tono e il ritmo. Non è una trilogia infallibile (X - A Horror Story non era eccezionale), ma almeno godibile, troppo schiacciata sul primo livello di lettura per essere davver un elevated horror, ma abbastanza sofisticata per fare bene cinema escapista con la testa sulle spalle. Insomma, non è Kevin Bacon agghindato come Jack Nicholson in Chinatown per suggerire le note da noir losangelino (tutte concentrate nel finale e non proprio indispensabili) che impressiona, né il fatto che egli stesso parli di recitare in una sorta di momento metacinematografico, ma (povero lui) impressiona più il fatto che sembra appartenere a un altro film ed è totalmente fuori posto.

È il destino di Ti West: nei suoi film inserisce spesso qualcosa di ottimo, ma non ha la costanza, o forse solo il gusto sufficiente, per mantenere lo stesso livello per tutto il minutaggio. Qui, per esempio, l’ambientazione e lo spunto sono teoricamente perfetti (l’era del porno su VHS è l'ideale per chiudere la trilogia), l’evoluzione di Maxine è impeccabile e soprattutto lo è il finale, con lo svelamento del villain che incarna in un solo personaggio spettacolo, bigottismo, repressione sessuale e violenza (non era facile). Però, poi si perde a lungo, non ha la coerenza compatta del cinema di genere che vorrebbe emulare e sembra non essere un grande fan degli slasher, dei gialli italiani o degli horror di cui parla, ma più qualcuno che ha capito che sono buoni argomenti per un film di successo.

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