Max Winson, la recensione
Max Winson è il giovane tennista più talentuoso di sempre, ma la sua carriera attraverserà un momento di crisi...
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Un giorno però questa perfezione sembra non essere più sufficiente e Max è affidato alle cure di un nuovo allenatore che, attraverso esercizi esagerati e inusuali che mettono a dura prova la sua tecnica, dovrebbe migliorare la sua abilità; è un passaggio narrativo dubbio, visto che non si capiscono le motivazioni per cui un tennista perfetto che non ha mai perso nemmeno una partita nella sua vita dovrebbe ritirarsi dalle scene per mesi alla ricerca di un'ulteriore evoluzione. Come se non bastasse, l'allenamento non dà i suoi frutti e ha anzi il risultato contrario: quando torna in campo Max sbaglia per la prima volta, la sua tecnica è diventata fallace e il giocatore attraversa un periodo di crisi.
Il racconto di Jérémie Moreau acquista un significato più profondo se si analizza il lavoro dell'autore, che esordisce a otto anni nel mondo del fumetto e a sedici anni riesce a vincere il concorso di Angoulême; si può quindi immaginare che la storia di questo enfant prodige del tennis abbia degli elementi autobiografici, una metafora di alcune difficoltà che il disegnatore ha dovuto affrontare.
La trama di Max Winson ha una struttura strana, un ritmo altalenante in cui l'attenzione potrebbe calare durante il percorso, ma si riprende nella fase finale, con un climax catartico che trasmette un messaggio soddisfacente e congeda il lettore con un sorriso. Graficamente, Moreau mescola la linée claire del fumetto franco-belga con lo schema libero della tavola, il dinamismo e il bianco e nero caratteristici del manga. Non c'è una ricerca del realismo, i personaggi vengono stilizzati e caratterizzati con elementi particolari, come la capigliatura a stella del protagonista, e questo spesso sfocia in immagini poetiche e suggestive.