Matrix Resurrections, la recensione

Lana Wachowski riesce a sorprendere tutti e girare quello che i sequel devono sempre essere riuscendo a criticarli da dentro in un'opera di metacinema

Critico e giornalista cinematografico


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Matrix Resurrections, la recensione

Qualsiasi cosa pensiate possa essere Matrix Resurrections avete sbagliato. Il quarto film della saga non è nemmeno lontanamente prevedibile, è fuori dallo stile degli altri mentre al tempo stesso ne replica tutte le caratteristiche. È, in parole povere, un gigantesco dito medio all’industria dei franchise e degli studios che ha fatto alle Wachowski una domanda per la quale non c’era una vera scelta: “Facciamo un quarto Matrix, volete farlo voi o lo facciamo fare a qualcun altro?” Lo possiamo dire con una certa sicurezza perché una domanda in tutto e per tutto simile viene fatta a Thomas Anderson (cioè Neo) all’inizio del film, quando ormai abbiamo capito che lui, stavolta, è un simulacro delle due sorelle, delle quali una sola (Lana) effettivamente coinvolta nel progetto.

Che poi il bello delle storie è che non finiscono mai, no?” verrà detto in tutta una prima parte del film, bellissima, che salta continuamente dentro e fuori dal metatestuale, in cui le immagini dei primi tre Matrix sono tirate in ballo nella memoria di Neo e poi proiettate sulle pareti nella rimessa in scena di uno dei momenti topici (rifatto proprio per aiutare Neo).

Ma anche “Parole d’ordine: originalità e freschezza” è un’altra battuta eccezionale di tutta una parte in cui Matrix Resurrections, con un’allegoria davvero molto sottile e diretta, prende in giro la sua stessa fattura mentre critica pesantemente il sistema che lo ha preteso. Anche un beep di quelli usati per censurare le parolacce, che arriva fuori tempo facendo sentire la parola in questione, ci ricorda che Lana Wachowski non crede per niente in questo modo di fare cinema e chi rimarrà fino alla fine dei titoli di coda vedrà la scena post-credit più inutile e canzonatoria di sempre.

Della trama, come è evidente da quanto scritto, non vale la pena dire nulla, nemmeno l’attacco, le sorprese sono molte e la gran parte devono proprio sorprendere per mandare in porta la presa in giro del sistema, di ciò che i film sono diventati, di quello che l’industria chiede e della posizione in cui mette un filmmaker come lo sono le sorelle (dotate cioè di idee originali). Di certo il sapore che lascia Matrix Resurrections è quello di uno per cinefili più che per grande pubblico, che difficilmente sarà soddisfatto delle molte scene d’azione di cui sembra non interessare niente a nessuno tanto sono generiche e filmate in certi casi dalle angolature peggiori. Azione fatta da chi non la sa fare con coreografie di una povertà orribile, si direbbe, solo che dietro c’è una delle registe più importanti dell’action moderno. Una persona che può girare male solo se lo fa apposta, per un film così meta che i personaggi di finzione stessi usano il termine “bullet time” (!).

Quel che non cambia è l’idea di fondo dei rapporti e dell’identità. Neo e Trinity stavolta sono il centro, innamorati sì, ma senza convinzione. Sì inseguono tutto il film ma più che teneri amanti sembrano due corpi (il maschile e il femminile) dalla cui compresenza dipende l’equilibrio di tutto, in un mondo che ha un nuovo villain dotato di una professione non più architettonica ma molto legata alla maniera in cui le persone vengono indirizzate. Anche l’immagine migliore del film li vede dormire uno di fronte all’altro in un posto d’onore dove sono soli. Di nuovo per una delle Wachowski il punto è che quello che siamo dentro non corrisponde per forza a quello che siamo fuori e che l’equilibrio tra il maschile e il femminile (il primo destinato alla parte tenera, la seconda a quella forte) è la storia più importante da raccontare.

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