Matilda the Musical, la recensione

Storia di ribellione contro un'autorità oppressiva, Matilda the Musical convince meno proprio nel suo aspetto più caratterizzante

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La nostra recensione di Matilda the Musical, su Netflix dal 25 dicembre

Che effetto può fare, oggi, la storia di una bambina speciale, coi superpoteri (!), in un panorama audiovisivo in cui gli outsider, i disadattati sono diventati la norma, se non una fonte d'appeal, vedi alla voce Mercoledì? In cui questi sono ormai pienamente accettati, e una loro celebrazione ha perso il suo carattere di novità? Potrà risultare ancora simpatica, ma molto più innocua di quanto lo era nella sua fonte originale.

Matilda the Musical è l'adattamento dell'omonimo musical, a suo volta tratto dal romanzo di Roald Dahl. La protagonista (Alisha Weir) è una ragazzina dotata di grande intelletto e divoratrice di libri, con genitori (Stephen Graham e Andrea Riseborough) che volevano un maschietto e non la sopportano. Inizia la scuola elementare in uno instituto dominato dalla spietata preside Trinciabue (Emma Thompson), che odia i bambini chiamandoli "vermiciattoli". Guidata da una premurosa insegnante, la signorina Honey (Lashana Lynch), Matilda darà vita a una rivolta contro di lei, grazie ai suoi poteri telecinetici.

Dal celebre film di Danny De Vito, questo nuovo adattamento riprende l'idea, sul modello burtoniano, di dipingere con colori sgargianti la casa dei genitori dei genitori della protagonista, figure caricaturali. Quando però questi non sono in scena, Matilda the Musical perde quella vena grottesca che caratterizza l'altro titolo, per focalizzarsi sul cupo mondo della scuola. La sua storia racconta infatti, più che una ribellione alla famiglia, una alle istituzioni oppressive.

La Trinciabue ottiene molto più spazio e Thompson, nonostante l'ingente trucco, delinea un personaggio sopra le righe, ma non macchiettistico. Un autoritario gerarca che costruisce il suo istituto come una prigione e un campo d'addestramento militare. Ribadendo l'obbligo di attenersi alle (sue) regole, cercando di sedare ogni ribellione, governa con la paura in un microcosmo a lei assoggettato. Emerge dunque lo spettro della guerra, di tutte quelle forme dittatoriali che spengono le voci critiche. Questo rimane dunque l'aspetto più interessante del film, che per il resto convince meno, a partire proprio da quello che sarebbe il suo punto di forza, il musical.

Il regista Matthew Warchus, che si era occupato dell'adattamento per il palcoscenico, lo traspone sullo schermo con diligenza, ma senza far leva sulla dimensione cinematografica. Le scene sono ben coreografate, ma richiamano sempre l'impostazione teatrale in campi medi o lunghi, senza nessun movimento di macchina o altro accorgimento a dare vitalità alla messa in scena. Così, paradossalmente, in oltre due ore di durata complessiva, il susseguirsi di numeri musicali finisce per non sorprendere più e non dare abbastanza linfa alla vicenda.

Pur rispettando a grandi linee lo svolgimento del romanzo, Matilda the Musical nel calca infatti ancora di più il lieto fine, accennando a una possibile redenzione nei genitori e asciugando la spigolosità presente nella scrittura di Dahl. La celebrazione dell'ingegno infantile contro l'ottusità degli adulti perde così molta della sua carica eversiva, emergendo come qualcosa di naturale e scontato. La protagonista trova appoggio in tutti i compagni e il suo potere, la sua acuta intelligenza vengono accolti senza stupore, rimanendo ai margini nel finale. Dove lei risulterà quasi sullo stesso piano dei suoi coetanei, che avranno la loro parte nella vendetta contro Trinciabue. Matilda the Musical potrà dunque piacere a chi non conosce la storia, ma sarà giocoforza meno appassionante per tutti gli altri.

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