Maternal, la recensione

Maternal di Maura Delpero ha un'attenzione fortissima ai dettagli, ai corpi, agli spazi, ma l'opposizione drammatica che lo regge all'improvviso perde di senso

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Maternal, la recensione

È su una grande opposizione strutturale (suore/giovani madri) e su diversi contrasti drammatici (riservatezza/irruenza, maternità biologica/maternità spirituale, libertà individuale/senso del dovere, ecc) che si basa Maternal, dramma scritto e diretto da Maura Delpero su tre giovani donne che devono fare i conti con le loro responsabilità. La forza di Maternal sta proprio nell’esposizione di questi dualismi, che Maura Delpero mette in campo in modo raffinato, obliquo, delicato, riempiendo di forza vitale uno sguardo o semplicemente riprendendo una stanza vuota, mostrando un piccolo gesto. Tuttavia è proprio questa raffinatezza ciò che Maternal sacrifica nel lungo termine, piegandosi sempre di più, man mano che procede, a un epilogo banale e univoco, troppo semplificato rispetto alle aspettative che aveva creato.

Il conflitto di Maternal nasce tra le mura di un centro religioso di Buenos Aires per giovani madri, dove le suore si prendono cura di alcune ragazze e dei loro figli. Da una parte è incorporato da Lu (Agustina Malale) e Fati (Denise Carrizo), diciassettenni a loro volta antitetiche (Lu è brusca e chiassosa, Fatima è timida e silenziosa); dall’altra dalla giovane Suor Paola (Lidiya Liberman), il cui arrivo mette in discussione l’amicizia tra le due e, allo stesso tempo, la sua stessa vocazione spirituale, rivelando questa un sempre più accentuato desiderio di maternità. 

L’occhio della regista rivela subito una vincente attrazione per i gesti e per i dettagli (non a caso viene dal documentario). Questa attenzione è fondamentale, in quanto è poco sul dialogo ma tantissimo sull’uso del corpo, pensato sempre in relazione allo spazio in cui si trova, che si basa la costruzione dei personaggi. L’irruenza di Lu, il modo in cui si muove, in cui parla, messi di fronte all’immobilità di Fati e di Suor Paola sono fortissimi, e si rivelano fondamentali per il mantenimento di una certa tensione drammatica. Non solo una scritta sul muro o il bacio a una foto rivelano l’infantilità di una madre che ancora deve crescere, ma anche il modo in cui banalmente si arrampica sul letto a castello, in cui si specchia, in cui incrocia le braccia, dicono più di mille parole. La cura scenografica e la recitazione fanno moltissimo in questo senso, perché se Lu ha bisogno di esistere in uno spazio caotico per affermarsi, Fati e Suor Paola hanno bisogno di nascondersi negli angoli, di appoggiarsi contro il muro, di uno sguardo particolare per rivelare le loro fragilità.

Grazie al loro realismo questi piccoli accorgimenti rendono più ricca la storia, ma è sostanzialmente la carica oppositiva di Lu che regge il film. Così, nel momento in cui questa esce si fa da parte, la precedente naturalezza perde improvvisamente l’equilibrio e Maternal si inciampa, dovendo fare i conti con le sue mancanze narrative. Messe l’una di fronte all’altra, Fati e Suor Paola non si scontrano ma si specchiano. Su questa relazione Maternal sembra non avere niente da dire, proprio perché prima ci aveva abituato a cercare l’opposizione e ora mostra una mera complicità, lasciandoci con due personaggi di cui tra l’altro non viene mai detto niente di nuovo rispetto all’inizio. Procedendo per inerzia il film arriva poi all’epilogo più scontato, buttando via una serie di possibilità di cui prima, invece, ci aveva illuso.

La maternità a cui allude il titolo non è allora una provocazione ma una definizione logica, da dizionario, e a quella risponde con la sua scelta finale, dove i ruoli sociali vengono ristabiliti con grande fretta e poca attenzione. Un vero peccato, perché Maternal aveva dimostrato di essere capace di molto di più.

Cosa ne dite della nostra recensione di Maternal? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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