Masters of the Universe: Revelation (seconda parte): la recensione
Se la prima parte di Masters of the Universe: Revelation era stata abbastanza controversa, questa seconda avrà un'accoglienza più tranquilla.
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Se la prima parte di Masters of the Universe: Revelation era stata abbastanza controversa, questa seconda avrà un'accoglienza più tranquilla. Un po' perché non c'è più quel senso di attesa e di novità, un po' perché questi cinque episodi tendono a dare al pubblico quello che probabilmente si aspettava fin da subito. Attenzione però a confondere questo risultato con una retromarcia totale sullo stile di L'ascesa di Skywalker. La seconda parte della serie curata da Kevin Smith è davvero una prosecuzione diretta di quanto già visto, e tutto ciò che accade lo fa in funzione di tutte le premesse già messe sul tavolo. Se questi dieci episodi fossero stati rilasciati insieme, ci sarebbero state molte meno discussioni, ma anche così questa nuova narrazione dei Dominatori dell'universo è senza dubbio da promuovere.
Come detto, questa è davvero una seconda parte di quanto visto pochi mesi fa. La serie continua ad elaborare la propria narrazione oltre la struttura episodica e le caratterizzazioni immobili della fonte originale. Stavolta si è cercato di infondere una certa forza a questi caratteri e a questi personaggi. Ma, davvero, nel 2021 non si sarebbe potuto fare diversamente. Quindi tornano ad avere un certo spazio le due donne che già emergevano nella prima parte come le protagoniste maggiori: Teela da un lato e Evyl-Lyn dall'altro. Nel primo caso una donna chiamata ad assumersi un gravoso compito, a scendere a patti con le proprie responsabilità anche di fronte alla scoperta di un segreto. Nel secondo, ancora più interessante, un personaggio che da succube divisa nell'accettazione dei suoi compiti, passerà ad essere tentata dal potere.
Avendo intervallato le prime due parti della serie (ma un cliffhanger ne annuncia una terza) con la visione di Arcane, sarebbe facile minimizzare il valore della serie. Che è vero, non ha quella forza nell'intreccio, quella regia, quello spessore narrativo che le permette di aspirare ad essere grande. Ma che ha avuto la saggezza di capire cosa può funzionare e cosa non può farlo in un reboot contemporaneo, senza inseguire il compiacimento del pubblico a tutti i costi.