Masters of the Air, la recensione

La trilogia bellica targata Spielberg trova la sua conclusione in Masters of the Air, omaggio al cinema classico che commuove ma non innova

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La recensione della prima stagione di Masters of the Air, disponibile su Apple Tv+ con le prime tre puntate dal 26 gennaio e poi una puntata a settimana

L'abbiamo attesa per dieci anni, e finalmente è giunta. Terzo capitolo di una trilogia seriale iniziata nel 2001, Masters of the Air si distacca dalla terraferma di Band of Brothers e dalle onde di The Pacific (sue sorelle maggiori) ascendendo verso le altezze vertiginose del dramma aereo. Sotto l'egida produttiva di colossi come Steven Spielberg e Tom Hanks, la nuova creatura bellica si muove con la disinvoltura e la potenza di un velivolo ben pilotato, nonostante il suo atterraggio sorprendentemente silenzioso sulle piste digitali di Apple TV+.

Questa epopea, che srotola la sua trama lungo nove episodi, mette subito in chiaro la propria ambizione di affresco corale, volto a ritrarre l'audacia e la fragilità umana inserite sul crudo sfondo della Seconda Guerra Mondiale. Al centro del dramma troviamo il 100° Gruppo Bombardieri, costituito da uomini che, novelli Icaro, si innalzano nel cielo non per avvicinarsi al sole, ma per difendere il mondo dalla minaccia nazista. Come in una tragedia greca, ogni missione è un volo verso l'ignoto, dove il fato gioca a dadi con la vita dei soldati.

Coro luminoso

Il cast è uno sfavillante mosaico di giovani talenti, coinvolti nella gloriosa impresa quando erano ancora sulla soglia del successo internazionale (la serie è stata girata tre anni fa). Dalla coltre di nomi emergono Callum Turner e Austin Butler nei rispettivi ruoli di John “Bucky” Egan e Gale “Buck” Cleven. Essi incarnano l'essenza del cameratismo e, al contempo, la dualità dello spirito umano. Bucky è fuoco: temperamento istintivo, passioni incontrollabili. Buck è ghiaccio: composto, pacato, razionale. Ne risulta un quadro vivido delle sfaccettature umane, sorretto da due performance formidabili nell'alternare la dolcezza dell'affetto alla crudezza emotiva di fronte alla carneficina.

Se Buck e Bucky formano, insieme, il cuore pulsante della serie, a corollario c'è un fiorire di volti e cuori che arricchiscono questo palcoscenico di giovinezza e sangue. Le vite dei soldati si intrecciano, lungo la stagione, in un gioco di specchi che riflette il meglio e il peggio dell'animo umano. In questo senso, Masters of the Air non si limita a raccontare la guerra; ne diventa l'emblema più archetipico, la perfetta rappresentazione di ciò che il genere suggerisce alla nostra mente, costruendo un'epica moderna dove coraggio, terrore e fratellanza si fondono in un unico, indissolubile nodo.

Correnti note

Eppure, nonostante la sua maestria tecnica e narrativa, questa meraviglia produttiva inciampa nel proprio tradizionalismo. Come un pilota che si affida troppo al proprio navigatore, la serie aderisce strettamente a un corso tracciato da altri, rinunciando a volte a esplorare nuovi orizzonti. Una scelta che, inizialmente, appare come un richiamo nostalgico all'epoca d'oro del cinema bellico, ma che si trasforma in un elemento che confina la serie in una bolla temporale, disconnettendola dalle aspettative e sensibilità contemporanee. Se da un lato questo stile conferisce un'atmosfera vintage, dall'altro limita la capacità della serie di parlare a un pubblico moderno in cerca di una narrazione più sfumata e complessa.

L'uso smodato della voice over appare il più delle volte ridondante rispetto a una trama tanto chiara e lineare da non necessitare di ulteriori spiegazioni. Il didascalismo appesantisce e, ahinoi, talvolta calca troppo la mano, quasi si trovasse di fronte a un pubblico cinematograficamente analfabeta. Inoltre la tendenza a enfatizzare l'eroismo e il coraggio attraverso dialoghi intrisi di retorica, pur essenziale in un dramma di guerra, risulta spesso tanto monolitica da soffocare l'opportunità di esplorare in modo più critico e profondo le contraddizioni e le sfide morali che caratterizzano il conflitto.

Sinfonia di guerra

Siamo dinanzi a una storia che, al contrario del già citato Icaro e dei suoi protagonisti, si tiene a distanza dal sole e dal rischio di bruciarsi le ali, mantenendosi in una corrente dolce e già rodata per regalarci una visione che, seppur nella sua perfezione formale, pecca talvolta di originalità drammatica. Tornano alla mente le parole di Antoine de Saint-Exupéry: "Per volare, bisogna avere il coraggio di affrontare l'abisso". E Masters of the Air non ha il coraggio di affrontare appieno questo abisso, attuando un'attenta esplorazione del cielo di guerra, ma trascurando ogni ardimentosa sperimentazione.

Nonostante questi limiti, sarebbe ingiusto sminuire l'impatto - artistico ed emozionale - di un'opera come questa. È più di un semplice racconto di guerra; è una sinfonia aerea scritta con le note del coraggio, del sacrificio e della resilienza umana. È un racconto che, seppur radicato nella tradizione, si eleva per offrire una prospettiva che solo dall'alto può essere pienamente apprezzata - una prospettiva che invita a riflettere sui voli e le cadute non solo dei suoi personaggi, ma anche dell'umanità stessa.

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