Masters of Sex 4x09, "Night and Day": la recensione

La recensione del nono episodio della quarta stagione di Masters of Sex, che vede di nuovo insieme Bill e Virginia

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A un passo dal finale della quarta stagione, il nono episodio di Masters of Sex, intitolato Night and Day, vede finalmente il rinnovato idillio tra Bill e Virginia, che tuttavia lui vive con preoccupazione: la sua percezione dell’amore per Virginia come una dipendenza è stato fatto diventare infatti uno dei pilastri dell’attuale condizione psicologica di Bill, semplificando fin troppo quelle che erano le problematiche di un rapporto a doppio senso stratificato e complesso. Dopo la terapia d’urto della scorsa puntata, Bill e Virginia sono un fiume in piena di passione; ma c’è una clinica da gestire e soprattutto Bill non si sente affatto sicuro di poter ricadere in una storia con Virginia. Gini inizialmente non si accorge di niente, anche perché è troppo occupata a gestire suo padre che ha portato sua moglie a St. Louis intenzionato ad iniziare la terapia, all’insaputa di lei. Dialogando prima con un genitore, poi con l’altro, Virginia finisce per provare finalmente un’ombra di empatia per la madre, quando le svela di essere stata per molti anni tradita dal padre; il padre stesso, invece, nega l’evidenza, e sposta come sempre l’attenzione sulla condotta sentimentalmente disordinata della figlia, nell’ennesima sequenza della stagione in cui qualcun altro dice a Virginia com’è e dove sbaglia.

Questo modo di portare avanti meccanicamente le psicologie dei personaggi appare come un netto passo indietro rispetto alla scrittura ben più sottile delle prime due stagioni, peggiorata con la terza, ma qui se possibile ancora più grossolana. La rivalità con Art e Nancy e i loro piani alle spalle dei datori di lavoro potrebbero essere usati per esplorare le conseguenze del lavoro di Masters & Johnson al di fuori del microcosmo di St. Louis, ma invece anche qui servono principalmente a volgere l’attenzione su un altro tipo di squilibrio nella coppia formata da Leveau e Dreseen, ricondotti a opposizioni piuttosto tradizionali: sesso/amore, carriera/famigli, desiderio di genitorialità a senso unico. La gravidanza indesiderata di Nancy ricade ancora su Art, proprio quando aveva accettato di essere complice della moglie, sfruttando anche la conoscenza con Bob Drag -il cui malcelato debole per Art è a sua volta tratteggiato in maniera piuttosto grezza (è lontana la forza degli episodi sull’omosessualità di Barton). La scoperta della bugia sulla paternità può diventare un possibile pretesto per scatenare in Art la rabbia necessaria per mandare a monte il piano di Nancy, e forse il matrimonia. Ma chissà, il plot lavorativo di questa stagione è così poco interessante che pesa molto di più quello che manca che quello che accade. Ad esempio, Betty è praticamente scomparsa, a parte un velocissimo accenno, nello scorso episodio, al matrimonio con Langham, già avvenuto off screen. La collaborazione con Hugh Hefner è anch’essa rimasta sospesa, e anche ai personaggi più vicini ai protagonisti non è più concesso molto approfondimento, da Barton, a Lester. Non sappiamo poi se Dody sia stata solo una meteora nel presente di Bill o se farà ritorno con un ulteriore carico emotivo da sbrogliare. Ricompare però Louise, che nell’arco di un paio di episodi è ricaduta nel peso della colpa e dell’alcool: anche in questo caso, un passaggio troppo repentino da personaggio forte e determinato, a donna distrutta e incapace di far fronte a una vita matrimoniale complicata. È chiaro che si tratta di un percorso pensato più per Bill, che può ora tendere la mano a colei che l’ha spronato quando non aveva più nulla e nessuno; però è un peccato ridurre anche questo rapporto a un tragico ritornare sempre sugli stessi errori.

Chi se la passa meglio è certamente Libby, pronta e aperta al nuovo e all’imprevedibile, sempre alla scoperta di nuove inclinazioni e abilità. Anche se, forse, non c’era bisogno di scomodare Woodstock per suggellare la sua nuova filosofia di vita, e ogni tanto viene da chiedersi che fine abbiano fatto i suoi figli. Alla fine, nessuno ha mai messo in dubbio che non serve necessariamente essere Mad Men per raccontare adeguatamente un’epoca nella sua complessità, eppure Masters of Sex sembra proprio ricordarci ad ogni puntata che la scrittura dei personaggi è tutto, e che di Mad Men ce n’è uno solo.

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