Master of None (prima stagione): la recensione

La programmazione originale di Netflix si arricchisce con Master of None, la bella comedy ideata e interpretata da Aziz Ansari

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New York, la generazione Y, la vita al tempo dei social, l'inquietudine e lo smarrimento di fronte alle porte infinite che si aprono sul domani. Questi i temi centrali di Master of None, la comedy ideata e interpretata da Aziz Ansari giunta su Netflix – rilasciata con le solite modalità con tutti gli episodi in contemporanea – a integrare il versante più "leggero" nella programmazione originale della piattaforma streaming. Eppure è di una leggerezza sporcata da una vena di costante insoddisfazione e amarezza che stiamo parlando: il one-man-show che non si estrania dal contesto per dissacrarlo a suo piacimento, ma che viene travolto quotidianamente da questo, che lo vive sulla propria pelle, che cerca la fuga senza sapere da cosa e per cosa. Pur senza raggiungere punte di eccellenza, la comedy di Netflix è da promuovere.

Il trentenne indiano Dev Shah è un attore da poco in cerca di conferme a New York. Mentre passa da un ingaggio poco soddisfacente all'altro, sostenuto soprattutto dagli introiti di vecchie pubblicità e da qualche occasionale comparsata in film di quart'ordine, conduce una vita moderata, ripetitiva, senza crolli e senza picchi. Ci sono le bevute, le uscite con le ragazze, i locali selezionati in base alle classifiche online, le serie tv. Nel corso delle dieci puntate – sempre piuttosto episodiche, con una trama orizzontale che si rafforza solo nel finale – seguiamo il protagonista alle prese con vari aspetti della vita sociale. Sono le manifestazioni di un mondo che va avanti, con i suoi rituali precisi, come il lavoro della vita, la relazione stabile, il matrimonio, perché anche Dev - questo moderno protagonista di About a Boy - sta crescendo e sta andando avanti.

Tutto ruota intorno a quella trappola sociale da un lato, necessità di maturazione dall'altro, che in qualche modo interessa tutti. Quel momento in cui lo sbandamento della crescita non è più occasione per mettersi in gioco, ma paura del domani, necessità – nel finale tutto viene ricondotto ad un passaggio della Campana di vetro di Sylvia Plath – di scegliere un percorso tra gli infiniti possibili, rinunciando a tutti gli altri finché una scelta è possibile. Questa premessa, la stessa che bloccava sulla nave il protagonista di Novecento, la stessa che veniva raccontata in termini fantascientifici in Mr. Nobody, potrebbe sembrare eccessivamente pesante per quella che in fondo è una comedy.

È qui che Master of None svela la sua natura atipica, eppure non così estranea ad un certo tipo di serie tv di oggi. Non è una comedy multi-camera naturalmente, ma ha un setting e una regia più elaborate, una fotografia più pesante (siamo dalle parti di Girls, anche come tono da dramedy), addirittura un aspect ratio 2.35:1 piuttosto straniante. Fa ridere? Certo, qualche risata nel corso degli episodi scatterà senz'altro, ma si tratta di risate a denti stretti, velate da una critica sociale mai eccessiva, ma sempre presente. Aziz Ansari come Lena Dunham, come Louis CK, come Amy Schumer, ossia il comedian che interpreta se stesso in un contesto romanzato, trasportando, come una sorta di Woody Allen della contemporaneità, le proprie ossessioni e pensieri sullo schermo inserendoli in una cornice quotidiana.

E, per chi ha visto alcuni spettacoli di Ansari – che qui collabora con parecchi nomi della vecchia squadra di Parks & Recreation – si vedono i temi e le riflessioni che ritornano, e che spesso partono da considerazioni sulle sue radici straniere: ecco quindi il paragone con la vita dei genitori indiani (che nella serie sono interpretati dai veri genitori di Ansari) e sulla rappresentazione dello straniero nelle serie tv e nel cinema. Un tema che apre a quello dello show-business: in questo Master of None si avvicina a BoJack Horseman, altra serie distribuita da Netflix.

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