Masquerade, la recensione

Come nei sex thriller degli anni '90, anche in Masquerade il sesso è apertamente la moneta per pagare il crimine ma tutto è troppo confuso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Masquerade, al cinema dal 21 dicembre

Tra gli anni ‘80 e ‘90 il noir classico veniva trasformato nel sex thriller, cioè il film in cui tutto ciò che era sottinteso nel noir (il sesso come merce di scambio, il desiderio carnale corruttore di un uomo retto) diventa invece esplicito e l’ammiccamento sessuale entra nella trama nella forma proprio di atti sessuali, prestazioni sessuali e ragioni sessuali dichiarate. Masquerade è esattamente a quel tipo di film che guarda, cerca di tenere un piede nel noir e un altro nel cinema che parla dell’influenza che ha il sesso nel cambiare la vita delle persone spingendole là dove non pensavano sarebbero andate, nel territorio criminale e abietto.

Bedos viene dal successo di La Belle Époque di cui qui si ritrovano molte suggestioni, soprattutto quella di rivivere la propria giovinezza tramite bugie e finzioni. Eppure Masquerade non ha niente della leggerezza di quel film e anzi una pomposità difficile da sopportare mentre racconta di due ragazzi belli e attraenti che circuiscono una donna e un uomo molto più grandi di loro per denaro. Ma anche tra loro due c’è un legame sessuale di dipendenza e costrizione, la femme fatale tiene stretto tra le sue cosce un uomo più remissivo e manipolabile, facendone il suo complice in un piano di una complessità davvero esagerata e nessun divertimento.

Seguiamo tutto dentro la cornice di un processo, quindi a ritroso sapendo come finirà (come si conviene nei noir classici). È difficile però entrare davvero in una storia dai personaggi così spinosi e dai risvolti così clamorosi. Ogni volta. Se Pierre Niney è sempre molto bravo con il suo sfigato di bell’aspetto, gigolo per signore attempate che è attratto da una ragazza troppo bella per essere vera; Marine Vacth è invece ancora una volta oggetto desiderabile e misteriosa manipolatrice (così fu lanciata da Ozon in Giovane e bella), ma non riesce mai a dare un senso a questo personaggio che deve rimanere imperscrutabile e che tuttavia nelle sue mani è solo fastidioso.

A sorpresa allora è Laura Morante, proprietaria di un ristorante italiano che entra nell’intrigo con tutto un suo interesse, ad emergere benissimo. Impegnata molto più di quanto non faccia di solito nei film italiani, qui ha un personaggio ferito e fiero al tempo stesso al quale dà una statura eccezionale. È una leonessa in attesa di vendetta, ha le spalle e la credibilità di chi ha visto di tutto e può pianificare di tutto. È l’unica credibile davvero, l’unica a riuscire ad inserire qualcosa di inatteso dentro qualcosa di altrimenti molto noto.

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