Mary e Il Fiore Della Strega, la recensione

Non si stacca dalle sue ispirazioni Hiromasa Yonebayashi e anche Mary e il Fiore Della Strega suona come tutti gli altri suoi film

Critico e giornalista cinematografico


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Non trova la sua strada Hiromasa Yonebayashi, animatore dello studio Ghibli promosso a regista nel 2010 con Arietty, diventato anche sceneggiatore dei suoi film con Quando c’era Marnie e ora costretto a mettersi in proprio dalla chiusura dello studio per Mary e il Fiore Della Strega. Non trova una strada che lo emancipi dal design del Ghibli e non ne trova una che lo liberi dai toni dolci e fiabeschi delle storie di quello studio (che solo nei casi migliori sapevano poi trovare una loro terribile drammaticità nelle pieghe della scrittura).

Mary e il Fiore della Strega sembra la buona imitazione di un film di Hayao Miyazaki degli anni 2000, corretta in tutti i presupposti, nei riferimenti e nelle suggestioni (il volo, l’ecologismo e la particolare forma di sfumatura tra buoni e cattivi...) ma priva della vera caratteristica che rende Miyazaki quello che è, cioè non tanto la capacità di scrivere storie, ma di trovare in quelle storie dei momenti visivi di una perfezione tale da elevare tutto il resto verso un’altra zona della narrazione, una in cui gli elementi del racconto perdono la loro contingenza e diventano altro nella testa dello spettatore, qualcosa di diverso per ognuno. Yonebayashi qui invece dimostra di nuovo di essere deficiente proprio nel comparto visivo, di saper raccontare una storia e di non essere in grado di immaginarla come un regista fa.

Nella trama di una strega caduta sulla Terra e di una bambina che, decenni dopo, si trova a percorrere quella strada al contrario (dalla Terra al regno delle streghe) solo per scoprire una specie di università della magia in cui si compiono esperimenti di magia che paiono ingegneria genetica, non c’è niente che non sia l’intreccio stesso. Il che sembra poter andare benissimo al pubblico d’elezione del cartone (i bambini) ma alla lunga si rivela poco anche per loro, che più che significati elevati non sanno di essere in cerca di un fascino inspiegabile e memorabile, quello che segna la differenza tra un racconto e una suggestione capace di imprimersi nella memoria e incastrarsi nelle loro idee lavorandogli dentro.

Mary e il Fiore della Strega non ha la personalità visiva per distinguersi da tutto quel che il Ghibli ha prodotto, non ha la personalità narrativa per distinguersi dal resto della produzione di Yonebayashi (storie di formazione con magia) né infine ha l’audacia per essere, se non altro, qualcosa di diverso e fresco. Al contrario è corretto e scolastico, minestra riscaldatissima di luoghi comuni del favolismo orientale che guarda a quello occidentale (l’animazione per la televisione anni ‘70, ‘80 e ‘90 ci ha campato) incapace da sé di dire niente altro se non le vicissitudini dei propri personaggi.

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