Mary e Il Fiore Della Strega, la recensione
Non si stacca dalle sue ispirazioni Hiromasa Yonebayashi e anche Mary e il Fiore Della Strega suona come tutti gli altri suoi film
Mary e il Fiore della Strega sembra la buona imitazione di un film di Hayao Miyazaki degli anni 2000, corretta in tutti i presupposti, nei riferimenti e nelle suggestioni (il volo, l’ecologismo e la particolare forma di sfumatura tra buoni e cattivi...) ma priva della vera caratteristica che rende Miyazaki quello che è, cioè non tanto la capacità di scrivere storie, ma di trovare in quelle storie dei momenti visivi di una perfezione tale da elevare tutto il resto verso un’altra zona della narrazione, una in cui gli elementi del racconto perdono la loro contingenza e diventano altro nella testa dello spettatore, qualcosa di diverso per ognuno. Yonebayashi qui invece dimostra di nuovo di essere deficiente proprio nel comparto visivo, di saper raccontare una storia e di non essere in grado di immaginarla come un regista fa.
Mary e il Fiore della Strega non ha la personalità visiva per distinguersi da tutto quel che il Ghibli ha prodotto, non ha la personalità narrativa per distinguersi dal resto della produzione di Yonebayashi (storie di formazione con magia) né infine ha l’audacia per essere, se non altro, qualcosa di diverso e fresco. Al contrario è corretto e scolastico, minestra riscaldatissima di luoghi comuni del favolismo orientale che guarda a quello occidentale (l’animazione per la televisione anni ‘70, ‘80 e ‘90 ci ha campato) incapace da sé di dire niente altro se non le vicissitudini dei propri personaggi.