Martin Luther King VS FBI, la recensione

Martin Luther King VS FBI di Sam Pollard usa gli strumenti del documentario per proporre un “what if” senza risposte sul futuro dell’immagine pubblica di una delle sue più grande icone: Martin Luther King Jr.

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La recensione di Martin Luther King VS FBI, al cinema dal 14 febbraio

Figlio dei tumulti del più recente black cinema, animato da una forte volontà di riappropriazione presso la cultura popolare dell’immagine del suo passato militante, nei suoi conflitti e nei suoi simboli (da One Night in Miami a Blackkklansman, oltre alle varie manifestazioni metaforiche del cinema di genere), Martin Luther King VS FBI di Sam Pollard usa gli strumenti del documentario per quello stesso fine, proponendo stavolta un “what if” - senza risposte - sul futuro dell’immagine pubblica di una delle sue più grande icone: Martin Luther King.

Questa domanda documentaria è però un mero pretesto, e funge da semplice innesco narrativo: come infatti cambierà la percezione di King presso l’opinione pubblica nel 2027, anno in cui saranno desecretati i nastri dell’FBI che registrano le sue relazioni extra-coniugali, sarà solo il futuro a dirlo. Relegata, infatti, questa domanda all’estremo finale del documentario, dove finalmente associamo le voci narranti ai volti degli storici, Martin Luther King VS FBI usa invece tutte le sue forze per dipingere un affresco tanto pieno quanto pericolosamente dispersivo dell’FBI e di King.

Ritenuto dall’FBI un pericoloso leader in grado di ribaltare l’immagine che l’America wasp aveva di sé (e che si sé voleva veicolare), Martin Luther King venne intercettato per anni attraverso linee telefoniche, cimici ed informatori, fino ad arrivare a strumenti decisamente controversi (e che qui vengono ritenuti il punto forse più basso raggiunto dal Bureau) quali una busta anonima contente nastri sulla sua vita sessuale privata e una lettera anonima in cui King viene istigato al suicidio.

Di quell’interessante dualismo tra pubblico e privato, di cui il documentario sembra volersi inizialmente interessare, rimane però molto meno di quello che sembra, e la domanda documentaria pian piano va così sfilacciandosi. Martin Luther King VS FBI rimane comunque solido grazie alla sua pienezza, ovvero la sua grande quantità di informazioni, piste, domande e prospettive, che, rese attraverso materiali d’archivio di diverso tipo (sia di non fiction - filmati d’epoca - che di fiction, ovvero film Hollywoodiani che rappresentano l’FBI) e voice over di cui non vediamo mai la fonte, offrono un’esperienza immersiva in quel panorama storico. Tuttavia, a lungo termine, volendo ricercare nella sceneggiatura di Benjamin Hedin e Laura Tomaselli quella coerenza narrativa, questa sembra mancare proprio per tale abbondanza.

Narrato in ordine cronologico, il film procede infatti per accumulazione e giustapposizioni alternando il ritratto di Hoover a quella del King pubblico, legando questi due attraverso diversi fili che tematizzano talvolta la paura generalizzata per la sessualità degli afroamericani (l’aspetto decisamente più interessante del documentario), talvolta l’ambigua moralità degli strumenti di indagine.

Se a Sam Pollard va riconosciuta la dignità intellettuale di non ricercare in nessun modo la morbosità e il tono scandalistico, tuttavia questo oggetto narrativo rimane decisamente più un esperimento “in divenire” che altro. D’altronde, la questione rimane ancora aperta: aspettiamo il 2027.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Martin Luther King VS FBI? Scrivetelo nei commenti!

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