Martin Luther King VS FBI, la recensione
Martin Luther King VS FBI di Sam Pollard usa gli strumenti del documentario per proporre un “what if” senza risposte sul futuro dell’immagine pubblica di una delle sue più grande icone: Martin Luther King Jr.
Figlio dei tumulti del più recente black cinema, animato da una forte volontà di riappropriazione presso la cultura popolare dell’immagine del suo passato militante, nei suoi conflitti e nei suoi simboli (da One Night in Miami a Blackkklansman, oltre alle varie manifestazioni metaforiche del cinema di genere), Martin Luther King VS FBI di Sam Pollard usa gli strumenti del documentario per quello stesso fine, proponendo stavolta un “what if” - senza risposte - sul futuro dell’immagine pubblica di una delle sue più grande icone: Martin Luther King.
Ritenuto dall’FBI un pericoloso leader in grado di ribaltare l’immagine che l’America wasp aveva di sé (e che si sé voleva veicolare), Martin Luther King venne intercettato per anni attraverso linee telefoniche, cimici ed informatori, fino ad arrivare a strumenti decisamente controversi (e che qui vengono ritenuti il punto forse più basso raggiunto dal Bureau) quali una busta anonima contente nastri sulla sua vita sessuale privata e una lettera anonima in cui King viene istigato al suicidio.
Narrato in ordine cronologico, il film procede infatti per accumulazione e giustapposizioni alternando il ritratto di Hoover a quella del King pubblico, legando questi due attraverso diversi fili che tematizzano talvolta la paura generalizzata per la sessualità degli afroamericani (l’aspetto decisamente più interessante del documentario), talvolta l’ambigua moralità degli strumenti di indagine.
Se a Sam Pollard va riconosciuta la dignità intellettuale di non ricercare in nessun modo la morbosità e il tono scandalistico, tuttavia questo oggetto narrativo rimane decisamente più un esperimento “in divenire” che altro. D’altronde, la questione rimane ancora aperta: aspettiamo il 2027.
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