Marry Me, la recensione

Una famosa cantante sposa accidentalmente un professore, una vita sovraesposta deve conciliarsi con una riservata in una storia senza vita

Critico e giornalista cinematografico


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Recensione di Marry Me, al cinema dal 10 febbraio

È una specie di Notting Hill che inizia dalla fine il film con cui Jennifer Lopez torna ad un suo classico, la commedia romantica. Se Notting Hill si chiudeva (spoiler!!) con la famosa attrice e l’anonimo libraio sposati, Marry Me ha nel suo spunto che una famosa cantante e un anonimo professore di matematica (comunque una figura dal profilo intellettuale), dotato di amica comica (il ruolo che in Notting Hill era di Rhys Ifans qui tocca a Sarah Silverman), si sposino all’improvviso, su un palco, e poi debbano convivere con la cosa, facendo funzionare la grande esposizione di lei con la riservatezza da uomo comune di lui.

Qui già sta uno degli elementi di debolezza del film, perché la cantante doveva sposarsi con un suo pari (sempre sul palco) ma prima di salire scopre un tradimento e distrutta agisce d’istinto, tira su qualcuno del pubblico e avviene il matrimonio, tuttavia se sono chiare le ragioni istintive di lei, non sono chiare quelle di lui, che fan non lo è, ed è abbastanza restio per carattere a simili esposizioni (come poi verrà ribadito).

La trama si aggiusta i dettagli come più gli fanno comodo per mandare avanti il film, senza che ci sia l’impressione più corretta, cioè che tutto sia naturale, logico e corra come un treno nella notte. Questo del resto è palesemente un veicolo per Jennifer Lopez e il suo ritorno che tuttavia non sa mascherare bene l’operazione. A 52 anni in un ruolo che sembra scritto per una trentenne, il film fa finta di niente, non è cioè un film su una donna matura che vuole sposarsi, anzi nasconde continuamente il dettaglio. Ad un certo punto lei verrà inclusa nella vaga categoria “donne oltre i 35 anni” e per tutto il tempo verrà esibito il suo fisico decisamente più in forma di quanto l’anagrafe vorrebbe. Era lo stesso punto di Le ragazze di Wall Street in fondo, solo che quel film era fondato sul corpo e sulla sua mercificazione (ed era magnifico nell’avere al centro proprio una donna matura così forte e potente), giocava a carte scoperte e aveva senso proprio per quello, mentre qui c’è una strana aria di non detto.

Ad ogni modo in Marry Me non sono davvero la scrittura e l’intreccio i problemi, quelli semmai sono dettagli convenzionali che non influiscono troppo, perché una commedia sentimentale di questo tipo si regge su altro: sulle interpretazioni (buone, specialmente Owen Wilson che è molto a suo agio come sempre nei panni del pesce fuor d’acqua) e soprattutto sulla fattura. Su quel versante Kat Coiro è un disastro e dimostra di non possedere né lo stile né la classe necessarie a mettere in scena l’amore tra una star e un comune mortale, non ha la cura per lavorare sul crinale tra la patina idealizzata delle commedie sentimentali e l’intimità domestica dei piccoli sentimenti e non ha nemmeno l’abilità per evitare di scadere nelle illuminazioni più povere e nelle composizioni di inquadrature più televisive. Mai Marry Me riesce a gonfiare la storia dando fascino all’amore che nasce, mai riesce a far sognare, ridere e desiderare, anzi è un film morto dentro che per quanto si agiti non cancella l'impressione che di questa storia a chi la racconta non importi davvero niente, che sia solo un lavoro da portare a termine.

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