Marry Me, la recensione
Una famosa cantante sposa accidentalmente un professore, una vita sovraesposta deve conciliarsi con una riservata in una storia senza vita
È una specie di Notting Hill che inizia dalla fine il film con cui Jennifer Lopez torna ad un suo classico, la commedia romantica. Se Notting Hill si chiudeva (spoiler!!) con la famosa attrice e l’anonimo libraio sposati, Marry Me ha nel suo spunto che una famosa cantante e un anonimo professore di matematica (comunque una figura dal profilo intellettuale), dotato di amica comica (il ruolo che in Notting Hill era di Rhys Ifans qui tocca a Sarah Silverman), si sposino all’improvviso, su un palco, e poi debbano convivere con la cosa, facendo funzionare la grande esposizione di lei con la riservatezza da uomo comune di lui.
La trama si aggiusta i dettagli come più gli fanno comodo per mandare avanti il film, senza che ci sia l’impressione più corretta, cioè che tutto sia naturale, logico e corra come un treno nella notte. Questo del resto è palesemente un veicolo per Jennifer Lopez e il suo ritorno che tuttavia non sa mascherare bene l’operazione. A 52 anni in un ruolo che sembra scritto per una trentenne, il film fa finta di niente, non è cioè un film su una donna matura che vuole sposarsi, anzi nasconde continuamente il dettaglio. Ad un certo punto lei verrà inclusa nella vaga categoria “donne oltre i 35 anni” e per tutto il tempo verrà esibito il suo fisico decisamente più in forma di quanto l’anagrafe vorrebbe. Era lo stesso punto di Le ragazze di Wall Street in fondo, solo che quel film era fondato sul corpo e sulla sua mercificazione (ed era magnifico nell’avere al centro proprio una donna matura così forte e potente), giocava a carte scoperte e aveva senso proprio per quello, mentre qui c’è una strana aria di non detto.