Storia di un Matrimonio - Marriage Story, la recensione | Venezia 76

Schietto e commovente, Marriage Story racconta con rara sensibilità la fine di un matrimonio e la persistenza dell'amore oltre il vincolo

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STORIA DI UN MATRIMONIO, DI NOAH BAUMBACH: LA RECENSIONE

L'incipit di Storia di un Matrimonio - Marriage Story di Noah Baumbach ne contiene, di fatto, l'intero senso e prefigura allo spettatore un meccanismo ciclico che muove i passi dall'amore e all'amore finisce per tornare; non v'è però traccia, nella deliziosa costruzione drammatica della storia - intuiamo, pesantemente autobiografica - di Nicole (Scarlett Johansson) e Charlie (Adam Driver), dello stucchevole semplicismo di un ritorno di fiamma. L'amore, in questo senso, sopravvive a se stesso e trova una nuova ragion d'essere nella pacificazione di due spiriti ormai legati per sempre, al di là delle cesure legali.

Baumbach - maestro nel dirigere Johansson e Driver in stato di grazia - introduce lo spettatore ai suoi protagonisti attraverso uno stratagemma simil-epistolare che non solo ne racconta l'affiatamento, ma getta le basi per l'innamoramento del pubblico nei loro confronti, acuendo quindi il dolore nel vederli scontrarsi; dapprima indirettamente, tramite l'oneroso filtro degli avvocati (Laura Dern, Ray Liotta e Alan Alda), e poi faccia a faccia, strepito a strepito, in una scena che è il cuore emotivo - nonché l'acme attoriale - del film. Malgrado le meschinità da tribunale e le reciproche recriminazioni, Nicole e Charlie continuano però a rispettarsi e stimarsi, persino nei momenti in cui si augurano il peggio sulla scia di un livore che porta la firma dei loro spietati legali.

La lotta per la custodia del figlioletto Henry (Azhy Robertson), per quanto centrale, non definisce in toto la contrapposizione tra i due coniugi, la cui comunicazione risulta tanto più difficoltosa quante più interferenze - degli avvocati, dei parenti, dei consulenti - si frappongono tra loro. Sia Nicole che Charlie lottano non solo per far sentire la propria voce in questo confuso schiamazzo generale, ma per trovare ciò che vogliono dire l'una all'altro per definire i termini di un addio dolente ma necessario.

Si può sopravvivere alla fine di un amore, ci dice Baumbach, e si può uscirne persino migliorati; c'è, è vero, un'indulgenza particolare nei confronti di Charlie, adultero con attenuanti ed evidentemente meno disposto a mettere fine al vincolo nuziale, ma il bilancio delle rispettive responsabilità dimostra un raffinato e preciso equilibrio. Il risultato è un quadro quasi perfetto, privo di sbavature e solo in parte gravato da qualche lungaggine; nulla che possa realmente inficiare la riuscita di un dittico che irradia malinconica complicità, lucida maturazione e desiderio di catarsi.

L'amore è, per Baumbach, una difficile mediazione, e continua a esserlo anche quando una relazione arriva al capolinea; a dispetto dei velenosi strali lanciatisi - per interposta persona - in aula, i due ex sposi trovano nel dialogo la chiave per sopravvivere al dolore e al fallimento di una love story che, lo deduciamo dai commoventi ritratti iniziali, avrebbe potuto durare per sempre. È quindi più che giusta la definizione implicita del titolo: limitandosi a parlare della fine di un matrimonio, Marriage Story non fa che confermare la persistenza del sentimento d'amore che ne è stato costante nutrimento nel corso degli anni.

Come già, in anni recenti, La La Land aveva enunciato con altre modalità, aprirsi all'amore significa esporsi a ogni sorta di delusione e angoscia, lasciando spesso un campo di battaglia senza vincitori: eppure tutto questo dolore, sembra volerci dire Baumbach con toccante realismo, vale la pena d'essere vissuto, se è il prezzo da pagare per una crescita sentimentale altrimenti preclusa.

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