Marilyn ha gli occhi neri, la recensione

Diretto da Simone Godano e scritto da Giulia Louise Steigerwalt, Marilyn ha gli occhi neri è un'ottima commedia che con apparente semplicità riesce a raccontare quanto sia difficile e spaventoso affrontare il cambiamento.

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Marilyn ha gli occhi neri, la recensione

Ecco a voi la cena au contraire: nell’improvvisato ristorante “Monroe” di Marilyn ha gli occhi neri capita che si cominci un servizio con spaghetti zuccherati con panna, cioccolato e fragole. Poi, forse, sarà servito il resto. Non era programmato, ma alla fine è stato meglio così.

È proprio questa insospettabile poesia, quella che rilegge un errore o un difetto in qualcosa di unico, il cuore di Marilyn ha gli occhi neri. Quest’idea vale per un piatto, ma in realtà parla delle persone. È un concetto semplice, ma il modo in cui viene suggerito durante il film è talmente sincero e perfettamente coerente che diventa, all’improvviso, una verità profondissima ed emozionante. 

L’elogio del diverso (ma mai in chiave pietistica) è ciò che appunto anima in Marilyn ha gli occhi neri il piccolo laboratorio di cucina di un centro diurno per la riabilitazione di persone disturbate, che da un’intuizione un po' matta si trasforma in un'impresa - in tutti i sensi - dove anche chi non pensava di avere qualcosa da perdere ritrova un motivo per amare la vita, scoprendo in luoghi impensabili (o in abbinamenti impensabili...) la forza per abbracciare il cambiamento.

In questa piccola perla diretta da Simone Godano e scritta da Giulia Louise Steigerwalt il cibo è la scusa che unisce umanità insieme fragili e complesse: in primis, quella di Dario (Stefano Accorsi) e di Clara (Miriam Leone). Lui un padre separato dalla figlia, ex chef che dopo il divorzio è assalito da violenti scatti d'ira e da una forte balbuzie. Lei una bugiarda compulsiva, che ridipinge il suo passato incollando sogni da attrice su memorie di abbandono e rimpianti. Oltre a loro, diversi altri ospiti completano il quadro, ritratti con sincerità mai macchiettistica e con una vena dolce amara.

Tra Soul Kitchen (il setting di una cucina-loft ne è forse un omaggio) e Si può fare, Marilyn ha gli occhi neri vive però di una forza tutta sua. La sceneggiatura è appunto semplicissima ma scritta con un'eleganza rara: sarebbe facile, con un soggetto del genere, cadere nel già visto o nell'edulcorato. Il pericolo, invece, è preso di petto e annullato dalla volontà - totalmente realizzata - di raccontare nel modo più sincero (e leggero) possibile una storia comune di persone comuni, con problemi in cui tutti potranno riconoscersi e immedesimarsi. La regia di Godano avvolge questo mondo colorato, un po' sognante ma sempre verosimile, cullandoci qua e là tra scene ora comiche ora serissime, riuscendo sempre a creare quell'equilibrio perfetto tra profondità e una comunicazione diretta e veritiera con chi guarda.

Miriam Leone e Stefano Accorsi sono la ciliegina sulla torta di questo "pasto" cinematografico: con le loro interpretazioni centratissime, divertite ed emotive - condite da piccoli gesti che caratterizzano dall'inizio alla fine i loro personaggi - fanno prendere vita a ogni cosa che toccano.

Paradossalmente, alla fine non si tratta né di un film sulla cucina né di un film sulla malattia mentale: nell’equilibrio precario ma perfetto in cui si trova, Marilyn ha gli occhi neri in realtà vuole (riuscendoci) semplicemente raccontare quanto sia difficile cambiare la propria vita. Si tratta di un percorso necessario che ognuno è chiamato a fare da solo: da qui non si scappa. Ma attraverso la condivisione potrà, almeno, essere un po’ meno spaventoso.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Marilyn ha gli occhi neri? Scrivetelo nei commenti!

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