Marco Polo (prima stagione): la recensione

Il costoso e imponente adattamento di Netflix delle avventure di Marco Polo si traduce in una serie con qualche caduta di stile

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È un oggetto strano da decifrare il Marco Polo trasmesso da Netflix. Un po' come il suo protagonista, sospeso tra due mondi lontani e a prima vista inconciliabili, sembra pulsare di quella violenza e nudità esagerate, che tornano spesso nelle visioni di Starz – il network che originariamente doveva produrre la serie – sulle quali viene calata, non senza qualche incrinatura, la patina elegante, affascinante e costosa di Netflix. Le meraviglie esotiche e il fascino del viaggio, tradizionalmente accostate alla figura dell'esploratore veneziano, passano allora in secondo piano, alimentando la splendida cornice di un "gioco del trono" orientale, lontano da noi nel tempo, nello spazio e nei costumi. Rimane un prodotto coinvolgente e scorrevole, con qualche caduta di stile e varie contraddizioni, ma che ripaga la visione anche grazie all'enorme sforzo produttivo impiegato.

Magari non saranno in molti ad aver effettivamente letto "Il Milione", ma è davvero difficile ignorare del tutto la vicenda del giovane Marco Polo e del resoconto del suo viaggio in Catai nel tredicesimo secolo. Qui l'approccio dell'ideatore John Fusco preferisce proiettarci fin dal prologo direttamente alla corte di Kublai Khan, relegando ad un breve flashback il racconto dei pericoli del viaggio e mettendo immediatamente sotto i riflettori l'esperienza del protagonista in questo impero sconvolto da tumulti interni. A pesare sull'unità territoriale non soltanto la divisione mai del tutto superata tra Mongolia e Cina, ma anche e soprattutto la resistenza della decaduta dinastia Song guidata, dopo la recente morte dell'imperatore, dal sinistro cancelliere Jia Sidao. In questo clima di instabilità e guerra, Marco Polo, mai il centro assoluto della storia, giocherà un ruolo importante.

La serie prodotta dalla Weinstein Company rinuncia fin da subito ad un approccio di rigido documentarismo e ricostruzione del materiale originale. La cornice è splendida e gli eventi generali sono fedeli alla Storia, ma l'esecuzione è dichiaratamente influenzata da una visione che vuole essere la più personale e romanzata possibile. Si spiegano allora in questo senso alcuni inserimenti che altrimenti striderebbero terribilmente con tutta la vicenda, come ad esempio la figura del vecchio e cieco maestro Bayan "Hundred Eyes", che allena Marco in una scena tutta rallenty e grandi frasi che ricorda l'addestramento di Neo in Matrix (!). E quindi momenti di nudo, poco ispirati e quasi mai necessari, e spesso piede calcato sulla violenza (arti marziali, nudo e violenza esagerata si fonderanno ad un certo punto in una scena dagli esiti a dir poco improbabili).

Ed ecco allora che, tra un tradimento inatteso e un nuovo passo in avanti del protagonista nei favori del Khan, ci troviamo a seguire una serie in cui convivono più anime. Il wuxia di "La tigre e il dragone" oscilla verso l'epica di "La battaglia dei tre regni", senza concedersi completamente, ma arretrando fino a rifugiarsi nelle sicure maglie della Storia. Eppure, questa miscela così particolare, forse proprio per il fatto di affidarsi a ingredienti così collaudati (i riferimenti, anche nelle dinamiche tra i personaggi, sono talmente tanti che è difficile trovarsi spaesati), funziona e coinvolge.

Marco Polo è quindi una serie in crescita che, nonostante il caos appena delineato, risulta alla fine più coerente con se stessa di quanto potrebbe sembrare. Su tutti i caratteri emerge inevitabilmente la figura, mai completamente decifrabile, di Kublai Khan, retta con forza e intensità da Benedict Wong. Un passo più indietro il protagonista, importante, ma non determinante (ben interpretato da Lorenzo Richelmy), mentre la presenza, pur carismatica, di Pierfrancesco Favino, qui nei panni del padre di Marco, si limiterà a pochi episodi. E se lo scontro a distanza con il sadico cancelliere Sidao è una bella storyline con un gran finale, soffrono un po' della sindrome da riempitivo le vicende della moglie di Kublai e delle sue concubine. Si segnala inoltre nel cast la presenza di Joan Chen, che ricordiamo in Twin Peaks nei panni di Jocelyn Packard.

Lo sforzo produttivo alle spalle, come detto, è davvero imponente. 90 milioni di dollari rischiano di essere una semplice cifra buttata nell'elenco dei dati dello show, ma qui si traducono in una ricostruzione di altissimo valore. Per quanto criticabili nell'economia della storia, è indubbio il lavoro effettuato sulle coreografie, ma l'impatto maggiore per gli occhi sono le location – qui davvero si respira tutto il sottofondo esotico della storia – le ambientazioni e i costumi. La scrittura non sostiene del tutto la costosa architettura della serie, ma dal punto di vista della ricostruzione Marco Polo è sicuramente un prodotto di ampio respiro.

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