Marcel the Shell, la recensione

Nonostante la storia sia nelle sue tesi socio-mediali piuttosto debole, Marcel the Shell conquista per la tenerezza del protagonista

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La recensione di Marcel the Shell with Shoes On, al cinema dal 9 febbraio

Se c’è una cosa davvero forte di Marcel the Shell è la minuzia con cui Dean Fleischer Camp costruisce un mondo realistico e iper-dettagliato attorno a una creatura impossibile: si tratta di Marcel, una piccola conchiglia di tre centimetri con due piedini calzati da scarpette rosa e un occhio solo, ingenua ma piena di ironia e profondità nel modo in cui racconta al suo interlocutore - il videomaker che la intervista, Dean Fleischer Camp nei panni di sé stesso - la sua storia.

Ormai è risaputo che proprio la ricerca del linguaggio e della forma è il cavallo di battaglia dei film A24 (che infatti spesso peccano sulla narrazione). Marcel the Shell infatti basa moltissima della sua forza attrattiva su un’idea originale: l’intervista a una conchiglia parlante che mescola il linguaggio visivo del mockumentary alla tecnica dello stop-motion. Quello che però sorprende è che Marcel, oltre a convincerci della credibilità del suo mondo attraverso le scelte linguistiche, racchiude una bellissima storia che ci parla di affetti, perdita, senso di comunità.

Dean Fleischer Camp parte, intelligentemente, dall’effetto sorpresa: per prima cosa vediamo - sempre attraverso il filtro di una finta ripresa semi-amatoriale - Marcel nella sua vita quotidiana dentro una grande casa. Essendo rimasto solo con la nonna conchiglia Connie dopo la scomparsa della comunità di piccoli esserini che abitavano l’appartamento (e la stessa famiglia di Marcel), Marcel si adopera con varie trovate per sopravvivere dentro quel grande spazio. E così una pallina da tennis diventa un modo per spostarsi, una corda legata ad un mixer un modo veloce per scuotere le albicocche da un albero, il miele una colla che permette a Marcel di camminare sulle pareti.

È quasi impossibile non ridere bonariamente per queste trovate, così come è quasi immediata l’empatia che, in un sottile crescendo, acquisiamo per Marcel dal momento in cui comincia a raccontarsi. La mini-trama che Fleischer Camp cuce intorno a questo mondo è, banalmente, la ricerca di Marcel della sua famiglia: un obiettivo narrativamente semplicissimo, ma che attraverso gli occhioni (ehm, l’occhietto) di Marcel e il suo imbattersi negli strumenti della contemporaneità umana assume tutto un altro ordine di grandezza. Sarà infatti a partire dalla messa online delle interviste a Marcel che questo diventerà una star inconsapevole del web e che gli utenti di internet (un’audience, non una vera comunità nelle tesi del film) ameranno senza comprendere, in una deriva forse qui sì un po’ naive e semplicistica del mondo dei media.

Pur essendo Marcel un film sugli affetti, Fleischer Camp non ricerca quasi mai l’effetto-magone (a parte un paio di volte). Insomma nonostante la storia sia nelle sue tesi socio-mediali piuttosto debole, Marcel the Shell conquista per i suoi piccoli momenti di intimità e di tenerezza, per il carattere di Marcel, la sua relazione con la nonna e il videomaker. E, soprattutto, per la tenerezza del contrasto tra un personaggio minuscolo e l’universalità dei suoi sentimenti. Anche i più dolorosi.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Marcel the Shell? Scrivetelo nei commenti!

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