Manuale d'amore 3 - la recensione

Tre storie d'amore legate alla giovinezza, la maturità e la terza età. A parte il primo - pessimo - episodio e il Cupido che fa da filo conduttore, un prodotto tutt'altro che disprezzabile, grazie soprattutto alla bravura di alcuni interpreti...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Manuale d'amore 3
RegiaGiovanni VeronesiCast
Robert De Niro,    Monica Bellucci, Riccardo Scamarcio, Michele Placido, Laura Chiatti, Valeria Solarino, Carlo Verdone, Donatella Finocchiaro, Emanuele Propizio
Uscita25-02-2011 

Fa uno strano effetto leggere il numero 3 in un titolo italiano. D'altronde, nel nostro Paese non vengono visti di buon occhio i sequel, magari perché rappresentano un'ammissione di puro prodotto commerciale. Eppure, l'idea di portare avanti un successo è tutt'altro che sbagliata, ma anzi una caratteristica del cinema fin dalle sue origini. Forse, iniziare a non giudicare male queste operazioni in partenza potrebbe essere un buon segno per quanto riguarda la maturità del cinema italiano.

Dato al prodotto di Veronesi e De Laurentiis ciò che gli spetta, il discorso artistico non deve essere necessariamente lo stesso. Si inizia subito con Emanuele Propizio nel ruolo di Cupido, scelta quanto mai discutibile vista la mancanza di carisma di questo attore (confermata da una voce off allucinante). Difficile capire le ragioni di questa decisione, se non il tentativo di attirare gli adolescenti con un loro (quasi) coetaneo, un po' come avviene con i cinepanettoni.

Subito dopo, inzia la vicenda di Scamarcio, che dopo due minuti pronuncia una storia talmente poetica, da far venire la nausea, roba da rimpiangere Silvio Muccino o Fausto Brizzi, che almeno non si prende così sul serio. Ma quello che stupisce maggiormente (anche se Veronesi in questo ci ha un po' abituato) è una quasi totale mancanza di risate, se non con dei tentativi poco convincenti (porte in faccia, scherzi da toscanacci, battute sessuali). Al suo posto, la solita riflessione pseudofilosifica sul senso della vita e sull'amore, oltre a musiche ultraespressive che devono sopperire alla mancanza di emozioni. In sintesi, tante ambizioni di ribellione, ma ovviamente una conclusione scontata ed edificante. Senza dubbio il capitolo peggiore dei tre.

Arriviamo all'episodio di Carlo Verdone, quello in cui speravo di più. Nel ruolo di un giornalista trasformista (si cita, tanto per cambiare, Una vita difficile di Risi e la scena della piscina), l'impressione è che l'attore abbia tentato di tirar fuori un'interpretazione un po' diversa all'inizio, ma con risultati alterni, tanto da tornare presto sui soliti binari. Comunque, anche senza fare miracoli, per fortuna qui si ride molto, grazie ad alcune battute fulminanti che è sempre piacevole sentire dalla bocca di Verdone. E l'idea non è neanche banale come si poteva temere (se non in piccola parte), ma soprattutto il personaggio femminile è ben al di sopra della media delle protagoniste dei film di Veronesi, per merito anche della brava Donatella Finocchiaro.

Ed ecco il capitolo De Niro. Si temeva che l'impegno fosse solo dettato da ragioni alimentari e quindi un'interpretazione da dimenticare. D'accordo, l'Oscar non lo vincerà, ma in confronto a tante prove recenti di questo attore, questa è una delle migliori (ma avremmo evitato volentieri di vederlo in mutande). Discorso simile per la Bellucci, che se la cava meglio del solito (senza far urlare al miracolo, s'intende), tanto che l'accoppiata, sulla carta un po' strampalata, funziona benino. Inoltre, Placido conferma di dare il meglio di sé in ruoli brillanti e strampalati come questo. Peccato per una tonnellata di retorica e scelte eccessive nella parte finale, ma d'altronde il Veronesi touch è sempre quello.

Alla fine, un prodotto superiore alle mie (scarse) attese e ad altri film analoghi italiani. Peccato che Veronesi non riesca a togliersi i suoi soliti difetti, altrimenti potrebbe puntare molto più in alto. Unico dubbio: ma perché Verdone (60 anni) rappresenta la maturità dell'amore, mentre De Niro (67 anni) la terza età?

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