Manuale d'amore

Quattro coppie, quattro storie: Giovanni Veronesi affronta il tema dei sentimenti con una formula cara alla grande commedia all’italiana. I risultati, purtroppo, non sono gli stessi...

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Sulla carta, l’idea era interessante. Prendere alcuni dei più famosi (e, in certi casi, bravi) attori del panorama italiano e metterli in una pellicola ad episodi, cercando di parlare di un tema che coniuga bene comicità e lacrime: l’amore.
Il fatto è che Giovanni Veronesi non è Max Ophuls, né Krzysztof Kieslowski. Per carità , non è certo una colpa non essere all’altezza di questi geni, ma l’impressione è che il regista/sceneggiatore rimanga in un limbo. Da una parte, alcuni momenti vorrebbero invitare sicuramente alla riflessione (con risultati più o meno felici); dall’altra, si scade nella bassa comicità da spettacolo televisivo, con forte propensione all’accento romanesco. E quando proprio non si sa cosa fare, ecco arrivare in soccorso la colonna sonora, che serve per suggerire allo spettatore i sentimenti da provare.

Per esempio, all’inizio si pensa che le storie siano ben divise tra loro e collegate soltanto nel momento in cui una finisce e l’altra inizia. Ma verso la fine alcuni personaggi rispuntano senza che ci sia una motivazione vera e propria. Insomma, non si ha la sensazione di un girotondo degno de La Ronde di Ophuls, né le vite dei protagonisti vengono veramente influenzate dai loro incontri con i personaggi delle altre storie, come capita con il regista polacco. E allora?

Un altro obiettivo del film era quello di raccontare vite normali, in cui ognuno si potesse riconoscere. Risulta francamente difficile pensare che i personaggi (e le loro storie) siano credibili e non provengano invece da una sorta di indagine da rivista patinata sui giovani d’oggi. Il fatto che Silvio Muccino sia un giovane disoccupato non lo rende realistico se poi riesce a rimorchiare in maniera assurda. Che le coppie Buy-Rubini e Littizzetto-Abbrescia siano in crisi, ci si crede benissimo, ma che si sforzino di risolvere i loro problemi nel modo in cui si vede sullo schermo, no.
E vogliamo parlare dei particolari, quelli che dovrebbero dare spessore e concretezza al quadro generale? Abbiamo un gruppo di turisti asiatici che hanno una guida che parla inglese, una coppia di amanti che va a casa di lei (che ha marito) mentre lui vive solo (e senza legami), una donna che per vendetta scrive sui muri della sua casa. Se proprio si vuole trovare un tema comune, è una sottile misoginia di fondo, con personaggi femminili incredibilmente remissivi e piatti.

D’altronde, la matrice televisiva dell’operazione è evidente. Si può anche accettare che Verdone (che comunque rimane il migliore del cast) ricicli un suo sketch televisivo, considerando che (piaccia o meno) fa parte della storia del cinema italiano. Ma lasciare campo libero alla Littizzetto di monologare non è certo il modo migliore per dare consistenza alla pellicola.
E ci si chiede cosa è successo ad alcuni attori che sembravano promettere bene. Non mi riferisco certo a Baby Muccino, che non si può prendere sul serio. Ma cosa è capitato a Jasmine Trinca? Tutto merito di Nanni Moretti e Marco Tullio Giordana per le sue prime, brillanti prove?

Insomma, una pellicola decisamente non riuscita e superficiale: chissà , forse potrebbe andare bene al botteghino proprio per questo. Dimenticavo, una curiosità: ma perché ci deve sempre essere un cane in ogni episodio?

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