Mantícora, la recensione
Mantícora è un noir che gioca sulle attese e un senso di perturbante che arriva solo fine per mettere in discussione la nostra percezione
La nostra recensione di Mantícora, presentato al Torino Film Festival 2022
Più che un thriller, Mantícora è infatti un noir, dove non conta tanto la rivelazione (che comunque arriverà, ma solo dopo un lungo percorso) ma la condizione esistenziale. Il regista Carlos Vermut gioca su una notevole sottrazione e glacialità della messa in scena: come già nel precedente Magical Girl, predilige il susseguirsi di piani fissi che trasmettono un senso di vuoto, più che di quello grottesco o angosciante che talvolta affiora, ma sempre per pochi attimi. All'inizio del film, Julián salva da un incendio un bambino rimasto intrappolato nella propria abitazione. Lo vediamo introdursi con coraggio, ma nella scena non c'è nessuna enfasi, nessun accompagnamento musicale. Così, quando poco dopo alcuni personaggi ballano in discoteca, tutti sembrano narcolettici, e lo stesso ragazzo li guarda distante, senza prendervi parte. Tutte le scene madri, le potenziali svolte narrative, sono totalmente depotenziate.
Nella conclusione, emerge così un effetto perturbante, a lungo ritardato, che colpisce perché non deriva solo dal plot twist, ma da come celebra un legame, un sentire comune, che andrebbe oltre l'accettabile, ma che il film ci spinge comunque ad accettare. Da come allestisce un lieto fine su una dinamica che non dovrebbe esserlo. Per come mette in discussione la nostra percezione, con uno dei rari movimenti di macchina che, avvicinandosi a volto del protagonista, ci pone di fronte alla sua insostenibile indecifrabilità.