No Man's Sky, la recensione
L'esplorazione spaziale secondo Hello Games: la recensione di No Man's Sky
[J. L. Borges, La biblioteca di Babele in “Finzioni”, 1941]
[caption id="attachment_159296" align="aligncenter" width="600"] No Man's Sky - screenshot[/caption]
Borges usa il paradosso della Biblioteca di Babele per analizzare il rapporto fra letteratura, lingua e storia: se davvero esistesse una biblioteca capace di contenere “tutto ciò che è dato esprimere in tutte le lingue” significherebbe che, in qualche modo, l’arte non è infinita. Ma se la letteratura avrà una fine allora come può la storia - e dunque il tempo - avanzare per sempre? L’anonimo protagonista del racconto risolve il paradosso comprendendo, in punto di morte, che:
Ma cosa c’entra il maestro della letteratura argentina con No Man’s Sky? C’entra perché come il bibliotecario di Babele, anche il nostro cosmonauta è una piccola entità chiamata a esplorare un universo quasi incomprensibile dove la matematica (nel caso del gioco di Hello Games, l’algoritmo procedurale segreto) domina dal particolare al generale. Tuttavia, proprio come nel racconto, la gioia si trasforma ben presto in delusione. Se pagine sensate sono gocce di inchiostro immerse in oceani di inutilità, anche i pianeti di No Man’s Sky finiscono velocemente per somigliarsi tutti, distese più o meno aride con occasionali rilievi, risorse da raccogliere e una fauna - quando presente - riconducibile a quella decina scarsa di caratteristiche base. Scoprire un mondo lussureggiante, con foreste, prati e dolci declivi è piacevole ma, alla lunga, l’effetto Borges vince sulla voglia di esplorare. A rendere l’esperienza ancora più surreale sono i vari punti d’interesse sparsi fra le stelle: entrando in ogni nuovo sistema solare troveremo sempre una stazione orbitante, qualche asteroide e un numero variabile di pianeti, ognuno dotato sempre delle stesse strutture. Inferni di lava, mondi infestati da animali felici, immense praterie, nulla cambia mai, gli avamposti saranno sempre tutti uguali, le fabbriche saranno sempre tutte uguali e pure gli alieni senzienti si somiglieranno.
[caption id="attachment_159297" align="aligncenter" width="600"] No Man's Sky - screenshot[/caption]
Il peregrinare fra i 18 quintilioni di sistemi stellari diventa terribilmente simile agli insensati viaggi fra un esagono e l’altro della Biblioteca di Babele: ogni stanza promette di svelare qualcosa di nuovo ma, irrimediabilmente, sembra ricondurre sempre nello stesso luogo, a fare le stesse cose. No Man’s Sky rappresenta l’apoteosi di una certa tendenza del game design contemporaneo che vede la componente tecnologica primeggiare rispetto a quella ludica: l’immensità galattica creata da Hello Games non serve quasi a nulla, non aggiunge niente al gameplay ma finisce per soffocare tutto il resto. Obnubilati dalla potenza del loro algoritmo matematico, gli sviluppatori hanno dimenticato di riempire il loro universo di un senso, allo stesso modo in cui i bibliotecari di Babele, schiacciati dalla perfezione geometrica degli scaffali cercano la verità nei libri già scritti anziché produrne di nuovi.
I limiti veri del progetto di Sean Murray sono tutti in questa tensione fra struttura e sovrastruttura, il resto sono trivialità abbondantemente perdonabili; certo, forse l’inventario si poteva gestire in maniera più razionale e il motore grafico a tratti zoppica ma si tratta di “problemi” abbondantemente correggibili con un paio di patch. No Man’s Sky fallisce nel momento in cui il giocatore si accorge che i suoi segreti non possono mai davvero essere penetrati perché, molto banalmente, non ce ne sono, tutto risponde alle fredde logiche matematiche già evidenti sul primo pianeta che esploriamo, sotto la superficie non c’è niente e, allora, per chiudere sempre con Borges, anche l’atto del giocare diventa inutile perché:
la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.