Manhattan (prima stagione): la recensione
Il progetto che portò alla costruzione della bomba atomica in una serie rivelazione: Manhattan
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C'è qualcosa di Si alza il vento di Miyazaki nella prima stagione di Manhattan. Al di là del comune contesto storico, quello della Seconda Guerra Mondiale, c'è una visione che va oltre gli stretti limiti del conflitto ai quali siamo abituati nel guardare drammi storici di questo tipo. Oltre le trincee, oltre il mare, ai due estremi del mondo – lì era il Giappone, qui il deserto del New Mexico – per raccontare la vita, professionale e non solo, di un nucleo di scienziati che, alle soglie di un balzo tecnologico, si ritrova a guardare in basso, a confrontarsi con quei limiti etici che stanno per essere oltrepassati. E allora arriva qualcosa che ha il sapore della giustificazione, ma che non è solo quella: è la semplice presa di coscienza dell'uomo che non può non agire.
E intanto lo sguardo dell'immagine si allarga, abbracciando dilemmi, vite, semplici intuizioni delle menti impegnate al progetto Manhattan che portò alla creazione della bomba atomica, infine sganciata, come tristemente noto, su Hiroshima e Nagasaki. La serie di Sam Shaw, seconda proposta originale di WGN America dopo Salem, ne ha seguito le vite per tredici, intensi episodi. Ottimo cast, tensione sempre viva, temi non semplici affrontati con la giusta intelligenza, e in generale la capacità di portare avanti la storia senza limitarsi alla banale, ma comunque presente e fedele, ricostruzione storica, ma creando qualcosa di più.
C'è la singolare capacità di giocare con un contesto storico che non vive solo in sé, nello stretto microcosmo della comunità di scienziati, mogli, soldati e quant'altro, ma che guarda spesso al passato, tramite la consapevolezza dei protagonisti, e al futuro, tramite la nostra. Quindi ecco i flashback sulle esperienze nella Grande Guerra di Frank, il forte legame con il presente – la sfida a distanza non è tanto fra Roosevelt e Hitler, ma più tra Fermi e Heisenberg – e inevitabilmente con il futuro. La sfida con l'Unione Sovietica, lo spionaggio, le torture e gli omicidi già ci introducono infatti ad un clima da Guerra Fredda, e saranno protagoniste assolute nell'ultima parte di stagione.
Allora tutte le storie che abbiamo seguito fino a quel momento, alcune più interessanti (lo sviluppo del personaggio di Charlie Isaacs, interpretato da Ashley Zuckerman), altre meno (il solito riscatto sociale di figure tradizionalmente più deboli, estemporanei ripensamenti sull'orientamento sessuale), saliranno ad un livello superiore. In tutto questo una cura e una passione per il tema che emergono nitide oltre la fotografia "d'epoca" e i toni color seppia: discorsi precisi e tecnici che non sempre capiremo del tutto, ma che sono affascinanti e interessanti (un altro punto in comune con Si alza il vento). Bella la colonna sonora di Jonsi, dei Sigur Ros, e Alex.
Un'ottima prima stagione per quella che, anche considerata la provenienza, può essere definita come una delle rivelazioni di un anno in cui – tra questo, The Knick e Halt and Catch Fire – i period drama stanno giocando un ruolo di primo piano.