Manhattan 1x01 "You Always Hurt the One You Love": la recensione

Recensione di Manhattan, la serie di WGN America che racconta la costruzione della bomba atomica

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Buona la seconda. Dopo il poco convincente debutto con Salem, WGN America rilancia sul tavolo della serialità proponendo un period drama ambizioso per contenuto e stile, non completamente bilanciato dal punto di vista del ritmo, ma tecnicamente valido. Ambientato nel 1943, Manhattan solleva il velo di segretezza che avvolge l'attività di alcuni scienziati nel New Mexico, impegnati nella realizzazione di un progetto che potrebbe sovvertire non soltanto le sorti della Seconda Guerra Mondiale, ma anche gli equilibri del mondo a venire. Difficile, e i primi numeri lo confermano, che la nuova serie del network possa imporsi come macchina da ascolti, ma il pilot, per quanto imperfetto, è da promuovere.

Mentre gli occhi del mondo sono proiettati sullo scenario bellico in Europa e nel Pacifico (piccola parentesi che c'entra poco con la serie: sull'argomento consigliatissimi Band of Brothers e The Pacific della HBO), la camera – diretta in questo pilot da Thomas Schlamme – ci conduce in una località nel deserto del New Mexico. È il 2 luglio 1943 e, come ci informano le didascalie introduttive, mancano 766 giorni allo sgancio della bomba atomica su Hiroshima, evento che, con quello analogo di Nagasaki, pose praticamente fine alla Seconda Guerra Mondiale. Questa è la storia del progetto Manhattan, che segretamente gli Stati Uniti e altre potenze Alleate portarono avanti per costruire il più distruttivo ordigno bellico apparso fino a quel momento.

Ideato da Sam Shaw, tra gli autori di Masters of Sex, Manhattan "tradisce" immediatamente il proprio contesto storico, estraniandosi e isolandosi, come la comunità dei protagonisti, dalla guerra in atto, per focalizzarsi sulle vicende umane dei personaggi e sul puro dibattito scientifico. L'eco del campo di battaglia è lontana, i nomi che ritornano non sono quelli di Roosevelt o Hitler, ma quelli di Enrico Fermi e Albert Einstein. Gli scienziati, e quindi le mogli e le famiglie che vivono nel microcosmo della serie, finiscono per essere una parentesi (quella che nel logotitolo della serie inquadra la lettera A di atomic) non tanto della guerra in atto, ma del percorso storico-scientifico del Novecento. Strano a dirsi, ma nemmeno tanto, l'ombra sugli eventi non è tanto quella della Seconda Guerra Mondiale, ma quella della Guerra Fredda.

Questo il quadro che emerge a più riprese nei dialoghi tra i protagonisti. Spicca su tutti Frank Winter (un ottimo John Benjamin Hickey), capo di una delle divisioni scientifiche. Suoi i maggiori dilemmi etici e morali nella vicenda, che emergono tramite due bei momenti di dialogo verso la fine dell'episodio e in una scena onirica e apocalittica. Il nostro occhio sulla storia in principio coincide con quello di Charlie e Abby (Ashley Zuckerman e Rachel Brosnahan), una giovane coppia che giunge sul posto e che, inizialmente, come noi si trova spaesata. Il piccolo non-luogo diventa allora specchio  un po' distorto dei suoi tempi, date le particolari circostanze, con figure femminili più presenti di quanto ci aspetteremmo (la moglie di Frank Winter, Liza, interpretata da Olivia Williams, sembra un personaggio che avrà un certo spazio).

La vicenda viene poi filtrata attraverso un'estetica decisa e una bella tecnica, che vede combinarsi tonalità seppia al commento sonoro di Jonsi e Alex dei Sigur Ros. L'impressione che rimane dopo un pilot – forse troppo lungo e che non riesce a tenere adeguatamente il ritmo per tutta la durata – è quella di un progetto serio, ambizioso e ben costruito.

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