Mancino naturale, la recensione
Il calcio come cornice per raccontare intensi rapporti umani. La storia di Mancino naturale, seppur non originale, è credibile e sentita. La recensione
Ancora una volta, come nel recente Il campione, in un film italiano l’universo calcistico è il contesto in cui raccontare, più che la dimensione sportiva, intensi e inaspettati rapporti umani. Mancino naturale, esordio alla regia di Salvatore Allocca, si concentra su quello tra Isabella, madre rimasta vedova (Claudia Gerini) e il figlio dodicenne Paolo, che cresce da sola e fa allenare duramente con l'obiettivo di farlo diventare un astro nascente del pallone, sfruttando il suo notevole sinistro. Per aprirgli le porte del calcio professionistico, è disposta a fare di tutto, venendo a patti con il suo spietato mondo e gli approfittatori che ci girano intorno (come il talent scout interpretato da Massimo Ranieri, che gli chiede ingenti somme di denaro per dare una possibilità al ragazzo ai provini).
Notevole inoltre l’interpretazione del giovane Alessio Perinelli, all’esordio, nei panni di Paolo. Gli occhi vitrei e lo sguardo ectoplasmatico ne trasmettono il suo essere succube della madre, ma allo stesso tempo nascondono una furia pronta ad esplodere. Centrale nell’intreccio è poi l’incontro con il nuovo vicino di casa Fabrizio (Francesco Colella), frustato sceneggiatore per la televisione che gli darà ripetizioni, aiutandolo nel percorso scolastico. Due personalità agli antipodi che finiscono per avvicinarsi e imparare l’uno dall’altro: siamo anche dalle parti di Scialla!, evocato nei giri in motorino tra i due. Nulla di nuovo dunque, ma sempre narrato con un buon trasporto emotivo, tale da rendere immediata l'empatia nei loro confronti.