Mammals (stagione 1), la recensione
La miniserie scritta da Jez Butteworth con James Corden esplora con estrema superficialità il tema della fedeltà coniugale
La recensione della prima stagione della serie Mammals, disponibile su Prime Video
La trama di Mammals
Jamie (James Corden, che qui dimostra di essere più bravo a recitare che a presentare) e Amandine (Melia Kreiling) sono felicemente sposati, e Mammals decide di presentarceli in un modo che potrebbe dare fastidio a più di una persona: lei è bellissima e sicura di sé, lui timido e un po’ sovrappeso ed evidentemente schiacciato dal peso di stare con una persona che sente di non meritarsi. Ma pazienza: la ruota ha girato, sono usciti i numeri di Jamie, scegliete tutte le metafore che volete con il bingo e la lotteria. Ovviamente un inizio così magico non può che precedere una svolta tragica – che non vi riveleremo, ma che ha l’effetto collaterale di permettere a Jamie di rivelare (rullo di tamburi) il turpe segreto di Amandine.
Jamie scopre che sua moglie, amorevole, incantevole e perfetta, ha un amante che la intrattiene quando lui non c’è, impegnato nel suo nuovo ristorante. Ed è qui Mammals decide di svelare subito il suo trucchetto più bieco: complicare le cose a ogni passaggio per aggiungere mistero e gettare benzina su ulteriori intrighi. Invece di confrontare subito la moglie, Jamie decide di andare a fondo, di seguire ben oltre i confini dello stalking il misterioso “Paul”, scoprire chi è, cosa fa e da quanto tempo ha una storia con lei. E come sempre quando si va a scavare in questo modo si infrange la legge si scopre che dietro l’apparenza c’è di più.
Una storia che ruota sulla mancanza di comunicazione
Questa assenza di comunicazione tra marito e moglie, come detto, è il motore di tutte le vicende, che coinvolgono anche la sorella di Jamie, Lue (Sally Hawkin, costretta in un ruolo da visionaria e da eterna infelice senza che ci venga mai davvero spiegato il motivo della sua infelicità), suo marito Jeff (Colin Morgan), e via via una cerchia sempre più ampia di familiari, amici e conoscenze alla lontana. Come in ogni thriller che si rispetti ci sono i colpi di scena (il primo in particolare arriva al momento perfetto ed è buona parte del motivo per cui una volta cominciato Mammals farete comunque fatica a non arrivare in fondo), e come in tutte le storie presentate in ordine sparso c’è una costante spinta a reinterpretare e reimmaginare quanto visto fin lì sotto una nuova luce.
C’è purtroppo, però, anche una gran voglia di stupire dal punto di vista visivo, con sequenze che arrivano a sfiorare Gondry e che vengono costantemente riempite di simboli (prima di tutti i mammiferi del titolo) e immagini evocative che dovrebbero dire qualcosa ma che spesso girano a vuoto – oppure dicono cose talmente banali che si fa fatica a parlare di “simboli” quando “didascalie” sarebbe più adatto. C’è estrema cura formale in Mammals, che però sembra troppo spesso una passata di vernice buttata lì per distrarre dal fatto che, in fin dei conti, niente di quello che sta succedendo è particolarmente originale o interessante.
Un progetto sostenuto dal suo cast
Le stampelle formali aiutano comunque a superare quella vaga aria di già visto che si fa particolarmente stantìa negli ultimi episodi: prima di tutto il resto, Mammals è una serie di attori e attrici, di grandi prestazioni e quindi di personaggi che, seppur scritti con il pennarello a punta grossa, sono vivi e vitali. Non tutti allo stesso modo, ovviamente: Amandine per lunghi tratti assomiglia alla Amy della prima metà di Gone Girl, quella che è sostanzialmente un simbolo, un oggetto, una funzione di trama e non un vero personaggio; al contrario, Jamie è quello che viene seguito più da vicino: è la vittima di questa particolare situazione, ma è anche una pessima persona per altri versi, e la seriefa di tutto per non dipingerlo solo come un eroe ferito. È uno dei pochi, grandi meriti di una scrittura che è altrove appesantita da tutti i succitati orpelli che rendono Mammals un’esperienza gradevole, capace di catturare la curiosità, ma in ultima analisi un po’ vuota.