Mamma ho perso l'aereo - Home Sweet Home Alone, la recensione

Un remake che non è un remake e che una volta tanto è scritto con un po' di gioia di vivere e senso reale del divertimento

Critico e giornalista cinematografico


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Mamma ho perso l'aereo - Home Sweet Home Alone, la recensione

C’è una grande voglia di demolire film come Home Sweet Home Alone, quelli che rimettono in scena dei classici come Mamma ho perso l’aereo, con fare moderno, altri attori e un mood più da tv che da cinema. Ma è indubbio che il piglio con cui è stato realizzato questo, che non è un remake ma più una sorta di altra storia nell’universo dell’originale (perché è conscio di cosa è successo 30 anni fa a casa McCallister), è il migliore possibile. Lo spunto è sempre lo stesso (una famiglia numerosa in partenza per un lungo viaggio natalizio lascia per errore un bambino a casa da solo) ed è sempre una parodia infantile degli home invasion, con qualcuno che deve entrare il bambino che li deve fermare.
Tutto il resto è diverso.

Il merito del risultato è facilmente ascrivibile a Mikey Day e Streeter Seidell, autori tra le altre cose del Saturday Night Live, e qui in gita di piacere. Confezionano una sceneggiatura piena di ironia e divertimento, che sa prendersi in giro ed è molto conscia che un film del genere può non essere diverso da un lungo sketch in cui mettere in scena una storia contemporanea con diversi livelli di lettura. Peccato che a dirigere il tutto poi sia messo Dan Mazer, sulla carta qualificato (viene dai film di Sacha Baron Cohen), nella pratica piegato su standard da Disney Channel. Invece che gonfiare questo lungo sketch ne conferma la natura televisiva, riduce le possibilità di incidere davvero e non sa generare momenti memorabili. Il punto è che il divertimento c’è, i dialoghi funzionano e ogni tanto va detto che anche la parte slapstick funziona (certo non come nel film di Chris Columbus), ma su tutto c’è un’aria così impalpabile e leggera da scivolare via invece che rimanere impresso. Di nuovo, come uno sketch.

La scelta che più di tutte colpisce allora è quella di levare i due ladri e mettere al posto loro due genitori in cerca di un oggetto finito per errore nella casa da invadere. Per loro quell’oggetto, quel MacGuffin, significa non dover vendere la casa in cui vivono con i figli, significa una boccata d’aria fresca che li tiri fuori dai guai economici in cui versano. È una risata sulla disperazione che dà grande afflato al film, ma soprattutto sposta l’asse del protagonista. Non è più il bambino il centro della storia, e meno male vista la pessima scelta di casting ricaduta Archie Yates, buono come comprimario e caratterista in Jojo Rabbit che qui dimostra un'espressività limitata e non è mai dotato delle espressioni sagaci e adulte di Macauly Culkin. Al centro di tutto stavolta ci sono i due genitori. Viviamo tutto dalla parte di chi invade. Loro hanno i problemi, loro hanno un arco narrativo, loro sono i personaggi con cui empatizziamo (l’arrivo di uno squallido fratello ricco non fa che enfatizzare la vergogna e il bisogno di quell’oggetto). Questo significa anche che il target del film non sono più i coetanei del bambino che si difende, o almeno non solo loro, ma soprattutto i coetanei dei genitori, cioè i bambini che avevano visto il primo film. E non è la prima volta che Disney+ finge di mirare ai figli per centrare in pieno i genitori.

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