Maleficent: Signora del Male, la recensione

Innamorato del proprio world building e ancora poco capace di creare personaggi memorabili, Maleficent: Signora Del Male conferma i dubbi del primo film

Critico e giornalista cinematografico


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Maleficent: Signora del Male, di Joachim Ronning, al cinema dal 17 ottobre - la recensione

Fuori il regista che viene dal mondo degli effetti speciali Robert Stromberg e dentro il norvegese che ha co-diretto Pirati dei Caraibi: La Vendetta di Salazar, ovvero Joachim Rønning. Ma non solo. Non più la sola Linda Woolverton (storica sceneggiatrice Disney) alla scrittura, ma anche due penne da Transparent, ovvero Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue. Con questi cambi la Disney vorrebbe ampliare lo spettro di Maleficent, creare un mondo più grande, elaborare la backstory di Malefica e ovviamente aumentare la mitologia. Da dove viene? A che razza appartiene? Conosce il proprio passato?

E se già sul primo film si potevano avere delle riserve, il secondo non fa che confermare quanto poco questo tocco si adatti all’universo di La Bella Addormentata nel Bosco e quanto tutto sembri forzato.

L’idea qui è molto chiara: nel sequel si punta tutto sulle fazioni. Gli umani contro le creature del bosco, uno scontro fomentato dalla regina madre di Filippo, acidamente convinta che ogni altra razza vada eliminata. La metafora è classica e semplice, quella dei regimi totalitari, con tanto di pura strage di massa (edulcorata e sistemata) nella scena della chiesa e dell’organo. Michelle Pfeiffer, nuovo acquisto funzionale a questo tema, è anche troppo perfetta nella parte  per un cast che invece sembra sempre stare altrove. Elle Fanning è distante e ben poco calata in un ruolo che (forse omaggio all’originale) non ha nessuna personalità né alcun appeal. Angelina Jolie, che invece dovrebbe avere il carisma del grande villain e la capacità di ribaltarlo per un ruolo protagonista, non si sbilancia, non rischia e pare non avere nessuna idea di come interpretare questo personaggio (per la seconda volta).

Di certo il film passa molto tempo a mostrarci le sue creazioni digitali. Ronning è innamorato del world building, della mitologia e dello stupore di vedere alberi camminare, animaletti animati e creature simpatiche. Lo stupore che il film profonde nei loro confronti e la maniera in cui concede loro passerelle e inquadrature sembra quello dei primissimi film che potevano permettersi simili effetti. Solo che sono almeno 20 anni che la costruzione di mondi digitali è una regola nei grandi blockbuster e quello di Maleficent: Signora del Male non è diverso dagli altri, anzi semmai vive di un immaginario abbastanza scontato e ordinario.

A questo punto il film potrebbe regalare semplicemente una buona storia con i personaggi a disposizione, tuttavia l’impressione è che ci sia ben poca precisione e coerenza nella sceneggiatura di Woolverton, Harpster e Fitzerman-Blue. È più importante, per loro, avere una scena a effetto in cui Malefica blocca a mezz’aria un gatto che la sta per attaccare che considerare che con quella prontezza e quei poteri potrebbe fermare ogni freccia a lei diretta ed essere impossibile da prendere di sorpresa. Sono più interessati all’effetto melodrammatico che alla logica interna del film, altrimenti non farebbero sacrificare un personaggio quando bastava attaccare l’unico nemico nella stanza.

Certo, non è per questo tipo di precisione che si guarda un film come Maleficent: Signora del Male, ma è pur vero che la medesima poca precisione e cura messa in questi dettagli si trasferisce a praticamente ogni altro ambito della pellicola di Joachim Rønning.

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