Major Grom: Il medico della peste – La recensione
Major Grom: Il medico della peste è il primo film russo di supereroi, e se queste sono le premesse ci sarà da divertirsi
Anche la Russia vuole una fetta della torta supereroistica cinematografica. Con i fumetti ci stanno già provando almeno dal 2011, con la fondazione di BUBBLE Comics, l’unica grossa casa editrice russa a pubblicare franchise originali; e ora ci provano anche con la sala, o per lo meno con lo streaming, visto che Major Grom: Il medico della peste è appena arrivato su Netflix con tutta l’arroganza di chi non vede l’ora di dire a Batman “levati di mezzo”.
Igor Grom è un poliziotto sui generis, che non si mette mai la divisa e usa metodi non convenzionali per ottenere risultati, come ottimamente illustrato da una sequenza d’apertura che scimmiotta e in parte parodizza Il cavaliere oscuro ma dimostra anche il talento di Trofim per la messa in scena dell’azione e le coreografie folli. A San Pietroburgo, però, c’è gente ancora più folle: per esempio un tizio che gira vestito da Batman ma con una maschera da, appunto, medico della peste, e che sta facendo fuori uno dopo l’altro tutte le personalità più criminali e corrotte dell’alta società pietroburghese grazie all’uso di due lanciafiamme montati sui polsi. È come se il Batman cinematografico ultima versione fosse stato diviso in due, e riversato per metà nel personaggio di Grom e per l’altra metà dentro il costume del Medico della peste – che è un vigilante convinto di agire in nome della giustizia sociale, e le cui azioni portano anche a una serie di atti di emulazione che intensificano i disordini in città.
Quanto detto finora copre a malapena la prima mezz’ora di un film che supera le due di durata: Major Grom – Il medico della peste è sovrabbondante, come se dovesse trovare il tempo di raccontare almeno due o tre archi narrativi contemporaneamente; eppure il film non perde mai di ritmo, e anzi la carrellata per conoscere una serie di personaggi ricorrenti che torneranno nei sequel: il poliziotto-stagista collega di Grom che porta la storia in quota buddy cop, la giornalista d’assalto Vicki Vale Yulia Pchelkina (Lyubov Aksyonova, la migliore del lotto insieme al protagonista Tikhon Zhiznevsky), il commissario Gordon di turno che funge anche da padre surrogato per Grom…
Tutta quest’abbondanza – anche visiva: le scene d’azione, come detto, sono ben dirette e ben coreografate, ma è il modo in cui Trofim trasfigura San Pietroburgo per farla assomigliare a una metropoli americana da perenne notturno al neon che colpisce più di tutto – è al servizio di una storia vagamente politica e un po’ confusa nel suo messaggio: c’è chi ha accusato il film di essere pro-polizia, pro-governo e contro l’opposizione a Putin, ma a dire la verità a noi è sembrato soprattutto di assistere a un atto d’accusa generalizzato contro l’intero sistema-Russia, che sia maggioranza, opposizione, forze dell’ordine oppure un qualche oligarca corrotto. Quello che al film manca in chiarezza ideologica viene comunque ampiamente compensato dalla chiarezza espositiva, e da un’idea molto forte di come si fa cinema di supereroi – sicuramente influenzata dagli analoghi prodotti americani, ma capace comunque di mantenere una sua forte personalità, geografica e non solo.
Lasciatecelo dire: di fronte a tanto entusiasmo, e a un’opera che al netto di una CGI non sempre all’altezza non sfigura di fronte a certi equivalenti statunitensi, siamo disposti a passare sopra a ogni difetto e ogni lungaggine; soprattutto se in cambio abbiamo una versione del “supereroe senza superpoteri” che non si esprime a one-liner ma a citazioni di Dostoevskij.