Magic Mike, la recensione [2]

Un film ordinario, che più ordinario non si può, rivestito di una patina, e una fotografia, di autorialità e intellettualismo da Steven Soderbergh... 

Critico e giornalista cinematografico


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Nessuno riesce ad aderire così pedissequamente alla figura e agli stilemi dell'autore, nel senso più pieno e classico del termine, senza averne però l'afflato e la capacità di raccontare un universo a partire da una storia come Steven Soderbergh.
Con i suoi film ha indagato tutti i temi più tipici del cinema autoriale e, anche negli exploit più commerciali, ha sempre infilato in maniera sottile suggestioni, sulla carta, interessanti. Nella pratica però il cinema di Soderbergh, che le tendenze d'autore degli ultimi 20 anni le ha attraversate tutte, non è mai riuscito ad incidere realmente. Nonostante più d'un successo, infatti, i suoi film non sono mai stati capaci di operare quella riflessione o fare quel lavoro che si propongono di fare.

Non fa eccezione Magic Mike, ultima di molte ricognizioni sul corpo umano, realizzate a partire dagli attori protagonisti a cui vengono affidati ruoli emblematici (la porno star Sasha Grey come escort in The girlfriend experience, la martialist Gina Carano come agente segreto super addestrato in Knockout), in cui Channing Tatum, attore con doti di ballerino mostrate nei primi due film della serie Step Up, è uno spogliarellista di Tampa in cerca di un domani migliore.
Una storia in cui dovrebbe essere il fisico e la carnalità a guidare le idee e lo svolgimento, come sembra intuire anche dall'inizio (ancora una volta perfettamente autoriale) in cui la prima cosa che si vede è il protagonista interamente nudo da dietro. Eppure non è così.

Col procedere del film Magic Mike dimentica la sua vocazione e scivola lentamente nel banale. Lo spogliarellista Mike in cerca di redenzione, l'uomo che nel lavoro è ammirato da tutte le donne, non riesce a trovarne una per la vita, specie quella che vorrebbe e la sua discesa nella disperazione è raccontata, come si conviene, con l'ascesa di una nuova stella, un ragazzo promettente che lo stesso Mike ha instradato all'arte dello spogliarello. Un uomo che lavora con il fisico, ma che non riesce a trovare un altro lavoro, nè ad ad affermarsi definitivamente. Impossibile non pensare a The Wrestler, un altro illustre perdente raccontato a partire dal suo fisico e dall'uso che ne fa per sopravvivere. Eppure in Soderbergh non c'è nemmeno una punta dell'onestà degli altri film sul tema. L'impressione è sempre quella che il regista (e sceneggiatore e direttore della fotografia) stia facendo tutto perchè sa bene che è così che si fa e non perchè realmente coinvolto da ciò che racconta. Al contrario degli altri autori veri Soderbergh non è il primo a nutrire interesse o terribile timore di ciò che mostra ma anzi sembra il primo a prenderne le distanze.

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