Con Magic Mike Steven Soderbergh firma un piacevole film disimpegnato trainato da un bravissimo Channing Tatum..
Channing Tatum nudo, o quasi. Alex Pettyfer nudo, o quasi. Matthew McConaughey nudo, o quasi.
Con un trio di bellocci del genere, tutti in ruoli di stripper, è difficile non far nascere un po’ di curiosità all’interno del pubblico femminile. Sarà pur vero, o almeno così si dice, che per conquistare le donne bisogna essere galanti e farle far ridere, ma per certe one-night-(cinema)-stand un bel paio di spalle e un addome scolpito spesso possono aiutare molto di più. Lo avrà pensato anche
Steven Soderbergh la cui filmografia (e lui forse ne è il primo consapevole) vive di continui alti e bassi sia in termini di qualità che di successi commerciali. Purtroppo per noi lui pensa che i suoi film migliori siano quelli impegnati e d’autore che immancabilmente incassano di meno mentre è proprio quando si lascia andare al disimpegno del “cinema commerciale” che il suo talento visivo diventa più apprezzabile. E così, dopo il bell’action Knockout, eccolo a dirigere un film sul mondo dello spogliarello maschile, in parte ispirato alle esperienze dello stesso
Channing Tatum che, quando era diciannovenne, si esibì più volte a Tampa come spogliarellista (lo stesso Tatum voleva inizialmente come regista della sua storia
Nicolas Winding Refn, purtroppo l’interessante connubio non si è realizzato).
Il filo conduttore della storia, ovvero l’introduzione di un giovanissimo carpentiere in uno show di stripper maschile, è giusto un pretesto per entrare dentro un mondo ancora cinematograficamente inedito. Se nel 1995
Paul Verhoeven ci aprì le porte (e non solo quelle) delle
Showgirls con una storia cruda e drammatica, Soderbergh si approccia al lato
homme della situazione senza calcare troppo la mano, puntando molto più sui corpi e sulle esibizioni dei suoi attori che su una trama che in definitiva non dice nulla di quanto non ci si potesse aspettare e cioè che dopo qualche anno di dollari dentro gli elastici dei tanga ci si può anche scocciare.
Non c’è voglia di criminalizzare chi fa soldi in questi modo, per fortuna la convenzionale morale della favola è sostanzialmente risparmiata e anche chi commette gravi stupidaggini come il dare droga a una ragazzina non è costretto, almeno narrativamente, a pagare per le proprie colpe (sarebbe stato troppo scontato). A livello di stimoli alla riflessione siamo intorno allo zero, sia in termini di concetti che di coraggio nelle immagini (nessun nudo completo, nonostante l’alto grado di erotismo implicito nella storia), il Boogie Nights di Paul Thomas Anderson rimane di un altro pianeta su ogni livello, ma se parliamo di performance, beh, quella di Channing Tatum è eccezionale.
Il modo in cui balla (e come Soderbergh lo riprende) è davvero ipnotico e travalica le barriere dei gusti, che piacciano gli uomini o le donne nei suoi movimenti c’è una carica di adrenalina che coinvolge a prescindere. Si vede che questo è il “suo ruolo” e difficilmente potrà in futruro ripetersi a questi livelli. Accanto a lui Pettyfer fa “il suo”, mentre è sempre apprezzabile
Matthew McConaughey che qui sembra una versione un poco più tranquilla, ma neanche troppo, del Killer Joe interpretato per William Friedkin. Più passano gli anni, più questo attore texano si sta dimostrando di essere ben più di un semplice sex symbol da commedie romantiche.