Made in Abyss 1, la recensione
Abbiamo recensito per voi il primo numero di Made in Abyss, opera di Akihito Tsukushi edita da J-POP
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
A distanza di poco più di un mese dal debutto di The Promised Neverland, J-POP assesta un secondo eclatante colpo editoriale e porta in Italia Made in Abyss, titolo dalle notevoli aspettative, il più acclamato all'ultima edizione di Lucca Comics & Games. Il suo biglietto da visita è l’adattamento anime (di cui Dynit ha acquisito i diritti per l'Italia e visibile sottotitolato su VVVVID) che ha ottenuto un grandissimo successo in patria e all’estero, vincendo il premio come Miglior serie e Miglior colonna sonora ai Crunchyroll's Anime Awards 2017.
La prima sensazione, sfogliando il tankobon, è la piacevolezza derivante dalla qualità e dalle dimensioni del formato - degno di una light novel - che la casa editrice milanese ha voluto riservare all'opera; una cura assolutamente meritata, perché Made in Abyss è una storia incredibile, straripante, semplice quanto geniale. È esemplare di quella capacità unica degli autori giapponesi di creare un universo fantastico, impossibile da classificare sotto una o più categorie, anzi, capace di inglobarle tutte o di darne luogo a inedite.
Tutto ciò, per come è strutturato negli strati successivi, evoca l’Inferno dantesco, dove ogni livello invece dei peccati, racchiude le paure e le fantasie più recondite dell’animo; quale immagine-archetipo, è il simbolo di quello che ancora dobbiamo indagare e conoscere. Da un punto di vista concettuale assomiglia ai mari di One Piece, un’infinita dispensa di sorprese e di avventure, di sogni e di orrori. L’abisso per Tsukushi, così come l’oceano per Eiichiro Oda, diventa una fonte potenzialmente inesauribile di racconti.
Di fronte a tale meraviglia sono una volta di più i bambini chiamati a esserne i protagonisti; tratteggiati e scelti con cura, soprattutto la piccola, dolce e caparbia Riko, la figlia di Lyza "La Sterminatrice", inarrivabile leggenda che si è spinta a tali profondità nello strapiombo che nessuno riesce neppure a concepire. È perfetto, accanto a lei, Reg, misterioso coetaneo vomitato dal baratro, che ha le fattezze di un ragazzino ma le caratteristiche di una macchina dai poteri strabilianti: un enigmatico Astro Boy senza memoria e passato, certamente una delle chiavi di volta dell’intera trama.
A sorreggere un siffatto impianto narrativo, una scelta grafica originale e accattivante, dove il bianco è bandito dalla pagina e i chiaroscuri sono giocati su di una miriade di sfumature di grigi che accentuano il tono d’incanto e di fiaba della vicenda.