Macchine Mortali, la recensione

Il primo capitolo del possibile franchise di Macchine Mortali è corretto da tutti i punti di vista eppure non riesce a puntare sui suoi punti di forza

Critico e giornalista cinematografico


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I titoli di testa e di coda dicono Christian Rivers, tutto il film dice Peter Jackson.

Macchine Mortali è infatti diretto dal professionista dietro a molti storyboard dei film di Jackson, regista di seconda unità sul set di Lo Hobbit, digital artist sempre per Jackson e altri (tra cui Steven Spielberg), eppure è impossibile non riconoscere la grana e la commistione di vero e falso di Jackson, la sua maniera di costruire set molto reali (è impressionante quanto si veda e si senta quel che c’è di non digitale nel film) e unirli benissimo con tutta la parte digitale, la sua passione per il video a frame rate alto da usarsi per alcune incursioni con macchina a mano molto mobile e una serie di obiettivi un po’ deformanti a grandangolo per le scene d’interno della cattedrale (fa molto anni ‘90 come lo facevano le riprese dell’interno di Isengard, la torre di Saruman di Il Signore degli Anelli).

La trama è quella di un futuro remoto in cui il nostro tempo è un ricordo lontano di cui si sa poco e niente, vista la guerra terribile che ha distrutto quasi tutto. Le città si muovono, sono su ruote e le più grandi inglobano le più piccole. Londra è una delle più grandi, gestita da un sindaco-generale che tiene sotto la sua ala un ingegnere dalle idee bellicose. La protagonista sfregiata (grande idea) entra in scena con un tentativo di omicidio che innesca fughe, eventi fino a incontrare (come si conviene) la resistenza nella persona di Anna Fang, pura superstar dai capelli alla moda, gli occhialetti piccoli e l’aereo che fa pan dan con il cappotto. Tutto convergerà verso un grande scontro.

Vista la trama che viene dai libri Philip Reeve è chiaramente un bene che sia così presente l’influenza di Peter Jackson (Macchine Mortali comunque lo vede sceneggiatore e produttore). Quel che semmai gli appartiene meno e che un po’ affossa un film che invece ha un gran bel ritmo, corre bene e non teme di affastellare eventi perché sa raccontarli con chiarezza, è il fatto che Macchine Mortali voglia essere leggero e avventuroso ma manchi completamente di senso dell’umorismo e ironia. Nonostante uno dei suoi molti modelli sia palesemente Guerre Stellari non vuole mutuarne anche la voglia di divertirsi e far divertire. In tutto il film regna una serietà che a un certo punto stona e che è più figlia della grande austerità dei franchise da libri young adult che dall’età dell’oro del cinema fantastico.

Ma non solo, a quest’avventura così ben strutturata e soprattutto “disegnata” manca anche un po’ la capacità di puntare e insistere sulle sue componenti migliori. Lo si capisce bene con il personaggio di Shrike, caratterizzato un po’ come Terminator (la macchina inarrestabile che deve uccidere e non si fermerà mai) un po’ come i Nazgul (a metà tra il mondo dei vivi e dei morti). Quel che lo riguarda, le svolte che ha, la storia che ha e come la sua caccia si inserisca nel racconto è fantastico, la parte migliore della storia, di certo la più originale nonostante le ispirazioni, eppure il film a questo personaggio epico e misterioso riserva un arco narrativo dalla risoluzione breve e per nulla clamorosa. Tutto corretto e tutto giusto, ma così impeccabile da non avere mai il guizzo assurdo, esagerato, grandioso che possa garantire reale eccitazione.

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