Ma Nuit, la recensione

La bellezza di Ma Nuit sta, più che nei personaggi, nell’atto stesso del vagabondaggio, nell’osservazione empatica e rassegnata dei suoi luoghi.

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La recensione di Ma Nuit, al cinema dal 12 gennaio

Ha un respiro strano, Ma Nuit di Antoinette Boulat. Incentrato sul vagabondaggio notturno e parigino di una diciottenne, Marion (Lou Lampros), che sta elaborando il lutto della sorella in quello che sarebbe dovuto essere il suo compleanno, Ma Nuit inizia come un piccolo film di Truffaut (con quella stessa aria di surrealtà che circonda il personaggio di Antoine Doinel), diventa un ritratto della gioventù francese “alla Kechice” per poi essere preso da una particolare tristezza esistenzialista.

L’effetto è in un certo senso disorientante, eppure è impossibile negare che Ma Nuit abbia una sua certa forza, una sua idea di cinema (basti vedere i riferimenti). Co-scritto da Boulat stessa con Anne-Louise Trividic e François Choquet, il film è un dramma il cui cuore è l’angoscia esistenziale (e depressiva) della sua protagonista. Il conflitto stesso che muove il è quindi, per sua natura, vaporoso. Da questo conflitto ne scaturisce appunto un vagabondare dove sarà l’incontro con vari personaggi notturni, in primis Alex (Tom Mercier), che proverà a portarla in luoghi “mentali” nuovi.

Ma Nuit ha quindi una missione difficile: rendere in modo cinematografico un mondo mentale, e Antoinette Boulat riesce parzialmente in questo compito. Da una parte, infatti, l’atmosfera stessa del film ci pone subito in un mondo narrativo tale che, pur essendo la protagonista di pochissime parole, riesce a raccontarci ciò che la turba, facendoci empatizzare con lei. D’altra parte, tuttavia, l’aspetto più debole Ma Nuit ha a che fare proprio con il suo linguaggio cinematografico. Il film infatti un po’ pesca dal cinema del passato, da quel cinema francese “d’avanguardia”, della surrealtà della recitazione e dei dialoghi (Marion, in particolare, prende lunghe pause e fissa il vuoto, poi intrattiene dialoghi dal contenuto volutamente vacuo). Un po’, invece, Ma Nuit cerca di fare il suo, non riuscendo però a creare un suo carattere particolare, a dare l’idea che dietro il film l’autrice abbia una sua personale visione di come riadattare linguaggi passati.

Antoinette Boulat si innamora, più che dei personaggi, della filmabilità “triste” dei luoghi. La Senna di notte, i locali notturni, una strana costruzione in un parco, il métro. In questi luoghi accadono eventi piccolissimi che fungono da “semina emotiva” (un sussulto di Marion che la mette - e ci mette - a disagio): ecco allora che il film trae la sua bellezza, e la sua godibilità, proprio dall’atto stesso del vagabondaggio, da un’osservazione empatica e rassegnata. Per questo quando la storia prende una svolta ingenua e l’atmosfera si fa più intima, Ma Nuit sembra perdere la qualità migliore che lo aveva caratterizzato nella prima parte. Per fortuna che ha un finale davvero ottimo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Ma Nuit? Scrivetelo nei commenti!

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