Ma Nuit, la recensione
La bellezza di Ma Nuit sta, più che nei personaggi, nell’atto stesso del vagabondaggio, nell’osservazione empatica e rassegnata dei suoi luoghi.
La recensione di Ma Nuit, al cinema dal 12 gennaio
L’effetto è in un certo senso disorientante, eppure è impossibile negare che Ma Nuit abbia una sua certa forza, una sua idea di cinema (basti vedere i riferimenti). Co-scritto da Boulat stessa con Anne-Louise Trividic e François Choquet, il film è un dramma il cui cuore è l’angoscia esistenziale (e depressiva) della sua protagonista. Il conflitto stesso che muove il è quindi, per sua natura, vaporoso. Da questo conflitto ne scaturisce appunto un vagabondare dove sarà l’incontro con vari personaggi notturni, in primis Alex (Tom Mercier), che proverà a portarla in luoghi “mentali” nuovi.
Antoinette Boulat si innamora, più che dei personaggi, della filmabilità “triste” dei luoghi. La Senna di notte, i locali notturni, una strana costruzione in un parco, il métro. In questi luoghi accadono eventi piccolissimi che fungono da “semina emotiva” (un sussulto di Marion che la mette - e ci mette - a disagio): ecco allora che il film trae la sua bellezza, e la sua godibilità, proprio dall’atto stesso del vagabondaggio, da un’osservazione empatica e rassegnata. Per questo quando la storia prende una svolta ingenua e l’atmosfera si fa più intima, Ma Nuit sembra perdere la qualità migliore che lo aveva caratterizzato nella prima parte. Per fortuna che ha un finale davvero ottimo.
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