M3gan, la recensione
Il cripto-remake di La bambola assassina ha la grande idea di ribaltare il punto di vista per aggiornare la critica al consumismo
La recensione di M3gan, in uscita in sala il 6 gennaio
M3gan è una bambola con intelligenza artificiale inventata dalla protagonista, con essa mira a sfondare nel mercato dei giocattoli per conto della sua spietata e gigantesca azienda (che fino a quel momento ha prodotto un giocattolo con blanda intelligenza che sembra Spassolo dei Simpson). Nella sua vita, però, piomba una nipote preadolescente rimasta orfana dopo l’incidente in auto dei suoi genitori. Per aiutarla a superare il trauma, ma soprattutto per sperimentare la sua creazione, la zia darà alla nipote M3gan in anteprima e M3gan comincerà ad attaccarsi morbosamente alla bambina. Se Chucky veniva comprato da un barbone per soddisfare la sete consumista di un bambino da una madre single lavoratrice piena di sensi di colpa per le scarse attenzioni, M3gan è data a una bambina per non occuparsi di lei e del suo lutto, per appaltare tutto a qualcos’altro.
C’è infatti grande attenzione a rendere il dolore di questa bambina orfana che assiste a tutto e della quale nessuno si occupa nonostante sia sotto il riflettore in quanto prima sperimentatrice della bambola. Un dolore reso soprattutto visivamente tramite i piani di ascolto, in modo che non sia un dettaglio invadente ma al tempo stesso sia presente. È il segreto di un film che per il resto si presenta apparentemente come molto efferato e sanguinolento ma poi sa che per essere davvero commerciale deve sempre distogliere lo sguardo all’ultimo e non mostrare le atrocità che abbiamo capito stanno accadendo. È cinema estremamente scaltro questo, che arriva al suo punto con grande intelligenza, che sa benissimo come funziona il proprio genere (il finale, con la più classica disumana trasformazione in mostro della minaccia, grida “classico!”) e che senza ambizioni smodate si qualifica come il modello giusto per il cinema horror medio.