M - Il figlio del secolo, la recensione: un adattamento imponente del libro di Scurati

M - Il figlio del secolo è un'opera maestosa produttivamente, trova la sua originalità nella prospettiva con cui indaga la Storia.

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C’è anche modo di sorridere, non tanto ma un po’, all’inizio di M - Il figlio del secolo. L’ascesa del fascismo raccontata in forma narrativa nel romanzo di Scurati, diventa sullo schermo (quello grande della Mostra di Venezia dove è stato presentato) l’equivalente di un tiro di fionda. Si parte dal basso, velocissimi, poi man mano la parabola sale e rallenta, inizia a discendere per via della gravità, o meglio della gravitas. Una produzione pazzesca, che colleziona talenti nazionali, ma si rivolge a un pubblico internazionale a partire dalla scelta di Joe Wright in regia.

Il proposito di M - Il figlio del secolo come serie non è fare una storia psicologica dell’Italia, di come si è fatta terreno fertile per fare attecchire il seme del fascismo, ma è "solo" entrare nella mente del fascismo e rimanere lì, osservando la sua storia interna. C’è poco della nazione, tutto ciò che cambia negli anni dal 1919 al 1925 viene detto a voce, mai mostrato. Ci sono invece tantissimi volti delle persone che hanno circondato Mussolini. Wright coglie l’insieme di rituali, di gesti e parole, di violenza incontrollata e bestiale, come elemento cardine dell’identità del fascismo e anche nella loro involontaria comicità. Raccontarli nel dettaglio significa anche raccontare “M” nelle sue paure.

La contemporaneità di M

Non è il mostro di Dusseldorf, ma il figlio del secolo. Un potente antieroe costruito come un puzzle contraddittorio. C’è la comicità tragica simile all’Adolf Hitler preso in giro da Chaplin ne Il grande dittatore (lì c’era il pallone mondo, qui una bomba a mano come antistress). C’è il perfetto opposto del dilemma etico di Churchill raccontato da Wright ne L’ora più buia (lì ci si chiedeva se entrare in guerra o no, qui come e se tenere a freno la violenza). Ma soprattutto c’è Frank Underwood di House of Cards. Ormai sdoganata la rottura della quarta parete, anche M - Il figlio del secolo se ne serve. 

Mussolini ci parla come se gli fossimo accanto. Fa battute che se fossero state pronunciate al pubblico dell’epoca non sarebbero state capite. “Make Italy great again”. “Non voglio nemmeno un treno ritardo”. Sono le battute di un personaggio che sostiene di sentire il tempo che viene, ma che appartiene narrativamente soprattutto alla contemporaneità. Tutti, dentro M - Il figlio del secolo sembrano rimettere in scena i fatti antichi da una prospettiva però moderna. Non solo si cita Il Padrino, quasi consapevolmente, all’interno di un dialogo (gli faremo un’offerta che non si può rifiutare), ma è proprio l’essenza stessa della sceneggiatura a guardare con distanza contemporanea la Storia. 

Una scena dal backstage di M il figlio del secolo

Una produzione imponente e internazionale

Nonostante i personaggi parlino alla camera come intervistati dal regista, la serie ha poco di documentaristico\informativo e pronuncia molto di più l’aspetto epico di un dramma shakespeariano. C’è potere, follia, amore, morte. Nella messa in scena si ritrova il Wright di Anna Karenina, che fa trasparire il teatro all’interno del cinema. Se il primo episodio è quasi umoristico e ritmato come un videoclip, l’ultimo sconfina nell’horror allucinato. Il quarto, quello della marcia su Roma, si bilancia tra tinte noir e il realismo poetico dove Mussolini assediato sembra ironicamente Jean Gabin in Alba tragica.

C’è anche un segmento dedicato quasi interamente al rapporto di Mussolini con le sue donne, una delle sottotrame più deboli nonostante l’interessante Margherita Sarfatti interpretata da Barbara Chichiarelli. Mussolini è un leader raccontato con la distanza di Pablo Larraín, ma anche con il senso del surreale di Paolo Sorrentino (entrambi produttori esecutivi). 

A limitare però la potenza della serie è proprio il suo voler essere aperta a ogni tipo di pubblico. L’enfasi “da cinema” su passaggi chiave della storia d’Italia come il delitto Matteotti stonano a noi, ma al contempo hanno molto senso nell’equilibrio internazionale del progetto. M - Il figlio del secolo è focalizzato su un periodo brevissimo di tempo e su un manipolo piccolo di persone, eppure il suo racconto appare incompleto, incapace di rendere come individui veri e storici i personaggi al di fuori dei due, tre protagonisti.

È un’opera studiata in ogni inquadratura, ma alla visione risulta libera dal vincolo di catturare lo spirito dell’epoca. Fallisce nel raccontare l’Italia, ma forse non lo voleva nemmeno fare, trionfa mostrando il suo “M”. Un mostro con cui non vogliamo empatizzare, ma che si può capire, con orrore e senza sconti.

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