Lynch/Oz, la recensione

Analizzando l'eredità de Il mago di Oz su David Lynch e su tutto il cinema americano, Lynch/Oz è un lungo saggio accademico dove non tutti gli spunti sono ugualmente interessanti

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La nostra recensione di Lynch/Oz, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022

L'influenza de Il mago di Oz (inteso come il film del 1939) su David Lynch è cosa ben nota, anche solo conoscendo a grandi linee i lavori del regista: basterebbe citare Cuore Selvaggio per rendere l'idea. Partendo dunque da un fatto assodato, questo Lynch/Oz vuole così ampliare lo sguardo a tutti i film del cineasta, dai cortometraggi all'ultimo Twin Peaks: The Return, per analizzare approfonditamente i tanti rimandi e corrispondenze e poi compiere una riflessione sull'influenza dell'opera sull'intero immaginario collettivo.

Il documentario si costituisce di 6 diversi capitoli, dedicati ciascuno a sviscerare un tema differente, in cui interviene ogni volta un diverso regista tra cui John Waters e David Lowery. Il loro commento in voice-over si accompagna a quello che vediamo sullo schermo: una lunga carrellata di scene di film (spesso messi a confronto in split screen, per evidenziare i parallelismi) o materiali d'archivio, come interviste a Lynch o a Judy Garland (protagonista de Il mago di Oz). Il regista Alexander O. Philippe, non nuovo a questo tipo di lavoro (vedi 78/52, analisi approfondita della famosa scena della doccia in Psycho, realizzata con 78 inquadrature e 52 tagli) compie quello che assomiglia molto a un saggio accademico, ad un lavoro di presentazione per un seminario di esperti.

Confrontare Lynch e Il mago di Oz vuol dire infatti soprattutto compiere un lavoro di approfondita analisi delle opere del primo, attraverso dei percorsi più o meno originali e perspicaci. Questi vanno dalla dimensione testuale a quella extratestuale, legando anche la stessa figura del regista a quella della Dorothy di Judy Garland, nel suo carattere fanciullesco sempre pieno di curiosità. Ma non solo: prendendo un modello così importante, il discorso si sposta poi sulle modalità di fruizione (il successo del film quando è stato trasmesso in televisione, e l'inevitabile rimando all'oggi, momento in cui la fruizione è molto più immediata) ai tanti altri titoli che celano al loro interno un rimando alla sua struttura narrativa archetipica (il viaggio in un altro mondo, il ritorno a casa) fino a mostrare che un fil rouge come quello messo in evidenza in Lynch è riscontrabile nel corpus di tanti altri grandi autori. Il flusso di ragionamenti prende così strade slegate dal punto di partenza: si arriva a dare la propria interpretazione degli ultimi, criptici lavori di Lynch, a raccontare il proprio personale incontro col regista, a confrontare anche i propri lavori con Il mago di Oz.

Insomma, c'è tanta carne al fuoco, fin troppa, se consideriamo la lunga durata del documentario (quasi due ore) e il fatto che ai tanti spunti che emergono non corrisponde sempre un eguale interesse. Se guardiamo Lynch/ Oz dalla prospettiva dell'esperto o dell'appassionato, le intuizioni, i collegamenti a volte aprono delle porte non immediate (riferimenti a film difficilmente immaginabili), altre appaiono più scontate (il lato oscuro degli anni '50, i singoli easter egg nei film di Lynch) ; se invece il target poteva essere anche il potenziale spettatore neofita, questo difficilmente potrà essere pienamente coinvolto da un film che richiede la massima attenzione. Senza contare che a lungo andare alcuni concetti (come il rapporto tra sogno e realtà) finisco per ripetersi nei vari interventi, e forse una riduzione del girato finale avrebbe giovato. Data la caratura dell'operazione, rimaniamo dunque stupiti di come al termine della visione non ci resti poi così tanto.

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