L'uomo con i pugni di ferro, la recensione
Aggregato più che fuso, infarcito più che rimescolato il film di RZA vorrebbe omaggiare i suoi generi preferiti mescolandoli per dar vita a qualcosa di nuovo...
Attore, produttore, scrittore, regista e compositore della colonna sonora, RZA per il suo L'uomo con i pugni di ferro ha fatto tutto e di più. Il film, si può dire è a tutti gli effetti una creatura da lui cresciuta dall'inizio alla fine. Peccato allora che più che un bel film sia un delirio di onnipotenza, una lunga velleità frutto della passione per diversi generi (la serie B tarantiniana a metà tra blaxpoitation e cinema d'arti marziali orientale) ma non dell'abilità cinematografica nel fonderli e rimetterli in scena in termini moderni.
La storia incrocia il western (lo straniero che viene da un'altra città) con il gangster movie (i clan), in uno scenario da gong fu pian che ha al centro un protagonista di colore e musica black. L'impressione costante però è che questi elementi non si fondano bene, che la mescolanza crei dissonanza e non armonia, l'esempio perfetto sono le molte sequenze d'arti marziali ben coreografate, sottolineate da musica hip hop senza che davvero video e audio si fondano con piacere.
Si potrebbe dire che dalla visione del film si esce avendo capito ancora di più la grandezza di Tarantino (che con gli stessi ingredienti confeziona cinema altissimo, capace di partire dai propri piaceri per arrivare su terreni completamente diversi) ma in realtà si esce solo un po' annoiati e sfiduciati riguardo le contaminazioni tra occidente e oriente al cinema.