L'ultimo yakuza, la recensione
Polizia corrotta, mafia, triade e due innamorati nel mezzo, L'ultimo yakuza non racconta solo il caos della vita ma anche un cinema fantastico e caotico
Questa tendenza sempre presente nei suoi film è anche più evidente in quelli come L’ultimo yakuza in cui ci sono tanti personaggi e tante trame che lentamente convergono verso un punto unico, ognuno cerca qualcosa, ognuno ha i propri obiettivi ma una massa di coincidenze sconvolgerà tutto, film incluso. Perché anche l’opera in sé inizia molto chiara e seria, con un pugile a cui viene diagnosticato un tumore terminale, una ragazza sfruttata che si imbatte in lui e forse da lui può essere salvata, un membro della malavita che vuole fare un colpaccio ai danni di tutti, soldi, denaro e la triade cinese di mezzo che non ha piacere che i propri affari vengano intralciati. Questa patina di serietà comincerà a calare dopo la metà quando il caos del mondo prende il sopravvento e niente va come dovrebbe. Quando entrano in scena le katane e rimanere intero diventa un lusso per ogni corpo.
Arrivato a quel punto L’ultimo yakuza può fare tutto anche inserire una scena totalmente animata che racconti qualcosa che sarebbe più faticoso mettere in scena dal vero e poi tornare nel cinema dal vivo come nulla fosse. È il piacere e la potenzialità di questo cinema caotico senza regole in cui Takashi Miike sa guidare lo spettatore, che nessuno può permettersi e che lui invece è arrivato a poter fare senza sforzi apparenti.