L'ultimo mercenario, la recensione
Agente segreto ma anche padre che da anni non vede il figlio, L'ultimo mercenario, detto "la Bruma" deve salvare la Francia. Mah....
Jean Claude Van Damme contro le parrucche. È dal 2008 che Van Damme porta avanti una stranissima e (ripetitiva) forma di riflessione sulla sua carriera e sul personaggio che ha costruito nel tempo. La porta avanti almeno dal 2008, da JCVD, film che è contemporaneamente un faro che illumina tutti i tentativi successivi ma anche una vetta di onestà e fusione di tra cinema e metacinema a cui non è più arrivato. L’ultimo mercenario si situa tra quello e Jean Claude Van Johnson, la sfortunata serie tv in cui si scopre che Van Damme è un’identità segreta per Van Johnson, un agente segreto che con la copertura dei film risolve questioni internazionali.
Anche qui infatti è un agente segreto (soprannominato la Bruma perché inafferrabile) ma la trama in cui è preso è tra le più stanche possibili.
Forma una specie di banda da franchise molto eterogenea con alcuni ragazzi della periferia, il figlio che non ha visto per 25 anni e un funzionario degli affari esteri con la passione per la pole dance (!). Insieme combattono per evitare che un’arma pericolosa venga attivata mentre la polizia cerca di catturarlo. Tutto un po’ confuso ma, se non altro, umoristico. L’ultimo mercenario è una action comedy solo ogni tanto rischiarata dalle movenze eleganti e leggere (anche nelle colluttazioni) di Van Damme, che come i grandi ballerini con l’età non perde la delicatezza del movimento e la sensibilità del tocco. E nemmeno l’elasticità muscolare necessaria per la spaccata.