Luke Cage (seconda stagione): la recensione
La recensione della seconda stagione di Luke Cage
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Come avvenuto per la seconda stagione di Jessica Jones, anche gli eventi di Luke Cage si riagganciano idealmente ai temi e allo stile della prima stagione. Quel che è accaduto in Defenders ha un senso nel momento in cui sappiamo che Iron Fist farà la sua apparizione, prima o poi, e soprattutto nel fatto che Misty Knight dovrà imparare ad accettare la perdita di un braccio. Per il resto sono ancora le strade di Harlem le protagoniste, gialle del sole caldo che continuamente batte sulle case del quartiere, rosse solo la sera, illuminate dalle luci dei locali. Luke Cage tiene l'ordine come può, e per un certo periodo le cose sembrano andare molto bene. L'effetto complessivo è quello di Rocky III, con il campione ormai soddisfatto, una celebrità prima che un eroe. Si parla di campagne promozionali, di selfie, di manifestazioni pubbliche.
Forte di un approccio mai nemmeno messo in discussione, Luke Cage ripropone la consueta struttura da tredici puntate delle serie Marvel su Netflix. Nemmeno a dirlo, sono troppe. Le prime tre – e siamo già a tre ore – servono ad impostare i conflitti stagionali. Su tutti, ad esempio, il rapporto conflittuale di Luke con il padre James, interpretato dallo scomparso Reg E. Cathey. Con una struttura di questo tipo, impostare un conflitto significa mostrare almeno tre o quattro scene diverse che rimescolano continuamente temi, frasi, considerazioni già chiaramente delineate. Ogni possibile snodo viene spremuto all'inverosimile, finché la serie, e noi con lei, potremo passare ad un equilibrio successivo.
Il tutto accompagnato ad una certa artificiosità e povertà dei dialoghi, a interpretazioni non memorabili, a dei lunghi intermezzi musicali, che dovrebbero dare un certo mood alla storia e invece appesantiscono il tutto. A fronte di tanto rumore e di tantissimo tempo passato insieme a questi personaggi (i flashback su Bushmaster inseriti incredibilmente a due puntate dalla fine) ci rimane ben poco. Forse solo un finale, di rottura, che riprende palesemente il Padrino e che getta un'ombra di complessità su Luke. Ma è un po' poco.