[Lucca 2013] Thor: The Dark World, la recensione [2]

Alan Taylor mette insieme gli ingredienti migliori e confeziona un prodotto dal sapore meno incisivo di quanto dovrebbe...

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Non solo Shakespeare.

Si potrebbe riassumere così l’intenzione dell’equipe di sceneggiatori di Thor: The Dark World, mostrato ieri ad un pubblico più che caloroso nell’ambito del Lucca Movie Comics and Games. Eh già, perché il retaggio del bardo era la componente principale nel primo film dedicato nel 2011 al dio del tuono da Sir Kenneth Branagh, che aveva cercato di costruire un dramma dai toni quasi teatrali con i mattoni sgargianti dei fumetti Marvel. L’esperimento non era del tutto riuscito, ma la parte migliore del film era proprio quella più seriosa e branaghiana, tutta concentrata nella triade Thor-Loki-Odino, in un rapporto di amore-odio che era la vera ossatura della narrazione.

Nel sequel, diretto da un regista di notevole e varia esperienza come Alan Taylor, le basi tragiche del primo episodio vengono meno, per virare verso i toni più abituali dei cinecomic Marvel. Ed ecco tornare le gag, i battibecchi ironici, i combattimenti roboanti ma sempre venati di umorismo. Thor: The Dark World è sicuramente un film divertente, questo è innegabile ed è ciò che consente al pubblico di incollarsi ad una storia che, altrimenti, sarebbe piuttosto carente d’attrattive. Se è vero che il valore di un eroe è dato da quello del suo antagonista, in questo film Thor ha di che preoccuparsi, perché l’elfo oscuro Malekith (interpretato da Christopher Eccleston) ha piani di distruzione che, forse per una trattazione troppo superficiale del personaggio, non creano mai una vera tensione drammatica. Sfascia e uccide, e malgrado ciò non lo temiamo mai davvero. 

Dal punto di vista visivo, il film paga l’obolo di dover conciliare la prima, azzardata visione minimalista di Asgard data da Branagh con l’immaginario certo più classico e quasi fiabesco di Taylor. Il mix è complessivamente riuscito, anche se in qualche scena la perplessità per mitragliatrici laser incastonate in pilastri simil-celtici potrebbe far storcere il naso ai puristi della fantascienza o, viceversa, dell’arte nordica.

Il cast è mutuato in tutto e per tutto dal primo episodio, eccezion fatta per il Fandral di Zachary Levi, arrivato a sostituire Joshua Dallas. E c’è da rendere grazie al casting originario, perché i personaggi funzionano tutti e danno pepe ad un meccanismo narrativo altrimenti piuttosto scialbo. Chris Hemsworth dimostra di essere sulla buona strada, considerando la sua pressoché immutabile fissità nel film di Branagh. Su tutti svetta, ancora una volta, il Loki di Tom Hiddleston, perla di bravura che irradia di ambiguo fascino ogni scena in cui appare. E duole constatare che le sequenze meglio riuscite sono, ancora una volta, quelle tra Odino (un sempre ottimo Anthony Hopkins) e i due figli Thor e Loki, a cui Branagh aveva dato enorme importanza nella sua versione. 

Taylor cerca di scrollarsi di dosso l’odore di tragedia greca in ogni modo, e ricalca la scelta di Branagh di caratterizzare la parte “terrestre” del film come linea comico-romantica. Natalie Portman e Stellan Skarsgård fanno il loro dovere, e lo fanno anche bene, ma l’inevitabile contrasto con l'epos tragico di Asgard (tutto eventuale e smentito, come detto, da un villain deboluccio) finisce per schiacciare l’intreccio romantico sotto una pressa impietosa. Dispiace davvero constatare che il risultato finale non sia all’altezza degli ingredienti impeccabili che lo costituiscono.

In conclusione, Thor: The Dark World è riuscito a riallineare la saga del dio nordico con il mood generale dei film Marvel, a scapito di ciò che di buono Branagh aveva costruito nel primo capitolo: un dramma di sentimenti eterni, di invidia e di dolore, di arroganza e di gelosia. E benché questo sequel risulti, ad un’occhiata generale, più coeso e riuscito del primo capitolo, si sente la nostalgia delle pennellate vibranti, a volte erronee ma comunque innegabilmente più incisive e profonde del film di Branagh.

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