Lovely Boy, la recensione
Lovely Boy di Francesco Lettieri pur non volendo raccontare il mondo della trap sembra non potersi liberare dal fantasma di una possibile indagine di quel mondo così potenzialmente interessante
Lovely Boy di Francesco Lettieri non è un film sulla trap, e da subito è chiaro che non gli interessa proporre una riflessione specifica su quel contesto particolare. Quello che gli interessa è palesemente raccontare una realtà emotiva, poco importa che dietro di questa ci sia la trap, il rap o qualsiasi altro genere. La parabola di redenzione umana e artistica di Nic/Lovely Boy (Andrea Carpenzano) dall’inferno della droga al purgatorio della riabilitazione deve quindi riuscire a convincere di per sé, a comunicare attraverso un’indagine umana, non musicale.
Quello che ci si chiede infatti guardando Lovely Boy è, appunto, quale sia il motivo specifico che ha spinto Nic ad abbracciare quel mondo che a sua volta l’ha portato sull’orlo del baratro. È come se mancasse un passaggio necessario, di indagine sul personaggio, che qui sembra data per scontata, o che si affida troppo a un’empatia verso il protagonista che invece non scatta mai.
L’importante scarto tra un Lovely Boy e un Lonely Boy (“ragazzo solo”) è descritto da un deciso taglio che Nic si fa allo specchio per sfigurare il tatuaggio al centro del suo volto. Questo semplice gesto riassume tutto un conflitto che il film, pur non indagando in seguito, qui riassume in modo cristallino: il problema che Nic deve risolvere è un problema identitario, e deve necessariamente passare dal volto (su cui si basa il suo lavoro d’immagine, tra social e videoclip) per compiersi. Il suo viso, affollato da una marea di tatuaggi, è il simbolo di un’identità lacerata, mascherata da metaforici cerotti dietro cui si nascondono inefficienze emotive.
Il lavoro di Francesco Lettieri non mira più, come nel videoclip, a contenere in una sola immagine un’intera idea narrativa, poetica. Non mira più a comunicare una sensazione fortissima stringendo più indizi possibili nello spazio di un solo quadro. In Lovely Boy Lettieri lavora totalmente in sottrazione. Studia, con curiosità e dedizione, solo il suo protagonista; ne attende un minimo cambio d’espressione, ne sottolinea l’irrequieta presenza.
Tutto quello che sta intorno a Nic non sembra affatto interessargli ma, per quanto Andrea Carpenzano riesca a reggere la prova di questa estenuante indagine, si sente ancora, fortissima, la mancanza di un mondo che veniamo costretti ad immaginarci.
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