Love & Gelato, la recensione

Commedia romantica che fatica a trovare la sua leggerezza e che, da noi, va presa come un film ambientato in un luogo di fantasia

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Love & Gelato, in uscita su Netflix dal 22 giugno

Non è per noi Love & Gelato.

Non è per il pubblico italiano perché è ambientato tutto in Italia (tra Roma, Firenze e un’ipotetica campagna romana che sembra in realtà la zona dei colli senesi) ma con sguardo americano. È un falso come se ne producono a Hollywood di continuo, una favola romantica che si svolge non nella vera Italia ma nell’Italia della mitologia cinematografica e del marketing territoriale che ne consegue, un territorio simile ma decisamente non uguale al vero paese che abitiamo, una terra d’esaltazione di tutto ciò che costituisce una commedia romantica, il posto in cui più è probabile realizzare sogni romantici e mangiare senza ingrassare. Visto così, cioè come un film ambientato in un luogo di fantasia, può avere un senso ma comunque questo non basta a renderlo riuscito.

Come in un allargamento del segmento italiano di Mangia, Prega, Ama, Love & Gelato (che pure è tratto da un romanzo omonimo), racconta il viaggio di formazione di una ragazza rimasta orfana di madre che proprio in Italia va a ricostruire l’estate che la madre passò lì più di venti anni prima, stimolata da lei (prima di morire) e intenzionata a trovare un senso alla sua vita. Lì incontrerà la più classica delle doppie storie d’amore, una più materiale e un’altra fondata su affinità elettive, oltre a scoprire cosa accadde alla madre e assaggiare mille piatti abbastanza convenzionali (impiattati come in un cartone dei Looney Tunes) rimanendo ogni volta shockata dal sapore.

Il problema del film però non è questo (anzi questo è un suo possibile elemento di forza, la reiterazione di un immaginario che unisce romanticismo ad esotismo culinario) quanto il fatto che nonostante l’intenzione di fare un racconto molto leggero, non riesca sempre a creare quella soffice cornice da cinema dei sogni. Anzi le preoccupazioni, lo spettro di un padre assente e il rapporto problematico con l’eredità della madre sembrano in più di un momento affossare la possibilità di un divertimento romantico, spostando il film sull’asse della fatica romantica. Lina non vive tanto storie passionali ma fatica a farsi strada tra due ragazzi e che sono ovviamente due parti di sé. Lei è il classico modello americano di ragazza in difficoltà, eccessivamente contratta nelle manie di controllo, bloccata dalle proprie paure e incapace di vivere una vita sentimentalmente piena in libertà. Per conquistare questa che, da sempre, le commedie sentimentali identificano come il modo più pieno di essere donna, dovrà passare per un aspirante cuoco in cerca anch’egli di un po’ di sicurezza.

Quello che stupisce semmai è la maniera in cui il film fa di tutto per svicolare le esigenze più carnali. Lina si innamora, bacia anche, ma si ferma tutto lì, il punto è sempre altrove, il rapporto più importante è sempre quello con se stessa e l’eredità della madre e anche baciare non è un passo verso un rapporto più stretto ma lo sfogo in un momento di difficoltà. C’è bisogno d’amore per vivere davvero, dice il film, ma non c’è poi bisogno che questo si concretizzi per sentirsi realizzate. È l’ennesima reiterazione della difficoltà del cinema contemporaneo mainstream a parlare e trattare il sesso e l’esigenza di sesso.

Dall’altra parte invece, per appassionati dei problemi del cinema italiano, è impossibile non notare come Valentina Lodovini, in una parte che il cinema italiano non conosce, con toni sopra le righe che noi non conosciamo e un ruolo da forte caratterista che non scriviamo, funzioni tantissimo. Ci voleva un film americano per scoprirne la capacità di animare da sola intere scene.

Continua a leggere su BadTaste