Love, Death & Robots: la recensione

Le nostre impressioni su Love, Death & Robots, la prima serie antologica animata di Netflix, prodotta da David Fincher

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Love, Death & Robots è fantascienza partorita e consumata in un'epoca disillusa, disabituata al silenzio e alla meraviglia. Lo sguardo d'autore – dove l'autore sarebbe Tim Miller – si infrange in diciotto segmenti animati permeati da grigiume e cinismo, e la razza umana ne esce mortificata nei suoi sogni e slanci di bellezza. Solo in sporadici momenti riusciti l'antologia di Netflix riesce a restituire il senso di un'umanità a contatto con la parte migliore di se stessa, anche attraverso esperienze negative. Per il resto, queste storie che raccontano vicende molto eterogenee mancano di temi e visionarietà, spesso soppiantate da un approccio visivo che gioca sul puro godimento della violenza, sul nudo esibito e sulla mancanza di riscatto. Se lo scopo della fantascienza è raccontare il presente con un linguaggio futuristico, qui la presa di coscienza è quella di trovarsi un vicolo cieco.

Si tratta della prima serie antologica animata di Netflix. Ennesima produzione per la piattaforma che riunisce David Fincher e Jushua Donen (House of Cards, Mindhunter), è curata da Tim Miller, regista di Deadpool e del prossimo Terminator. La serie è composta da diciotto cortometraggi di durata variabile, ma sempre breve; si va dai cinque ai quindici minuti circa. Le storie sono basate su opere di autori di fantascienza affermati: tra gli altri, Ken Liu, John Scalzi, Joe Lansdale.

Come da titolo, i tre elementi cardine sui quali poggiano le storie sono l'amore, la morte e i robot. Basteranno tuttavia pochi episodi a rendersi conto che le percentuali non sono distribuite equamente. A ben vedere, di amore – qualunque sia la definizione che vogliamo dare a questo sentimento – ce n'è pochissimo. L'universo di Love, Death & Robots, per quanto privo di coerenza interna, è passionale, carnale, istintivo, ma è raramente altruista o disposto al sacrificio.

In compenso, la morte è ovunque: brutale, pervasiva, goduriosa, sanguinolenta. Non c'è un solo episodio che ne faccia a meno. In un universo in cui il tessuto sociale è inafferrabile e i legami umani sono strappati, queste sono storie che definiscono la propria gravitas non in base ai temi di cui parlano, ma in base al dolore che suggeriscono. Tuttavia si tratta di una brutalità insistita e senza freno, che anestetizza ogni possibile reazione emotiva. Infine, i robot sono una presenza ricorrente, e va detto che la serie sperimenta molte sfumature di quel che potremmo definire a vari livelli come intelligenza artificiale. Ma lo vedremo meglio parlando dei singoli episodi.

È impossibile dare un parere uniforme al progetto nella sua interezza. I singoli episodi sono stati realizzati da studi d'animazione diversi, abbracciano più stili d'animazione, più generi, e inevitabilmente alcuni sono più riusciti di altri. Tuttavia è possibile rintracciare alcuni elementi ricorrenti e alcune mancanze generali. Ad esempio, la serie racconta storie in cui la nudità e la violenza sono componenti inscindibili l'una dall'altra. L'esposizione dei corpi coincide con la loro mortificazione, annullamento o in sporadici casi – i migliori dell'intera serie – trasformazione in qualcos'altro. Allora amore e morte, eros e thanatos, diventano pulsioni estreme, ma al tempo stesso superficiali, che definiscono personaggi privi di umanità.

Sacrificio, sesso, onore, vendetta sono attributi essenziali in una serie che non elabora concetti complessi, ma che al tempo stesso non è nemmeno così sottile. E questo vale anche per l'animazione in sé. Il grado di fotorealismo di alcuni episodi è strabiliante, ma al tempo stesso finiremo per chiederci in alcuni casi il senso stesso dell'animazione. La serie sembrerà risponderci con una delle ultime puntate che, semplicemente, è in live action. Altre puntate giocano su un'animazione più stilizzata: sono gli episodi dalle premesse più divertenti e bizzarre, dove invece la seriosità richiama uno stile più realistico. Ma si tratta appunto di accostamenti mentali troppo semplici e diretti in una serie troppo letterale e poco stratificata.

In questo caso, infatti, Love, Death & Robots convince di più quando trova una via di mezzo che non pregiudica la forza dell'immagine rispetto alla storia. Nel 2003, Animatrix era figlio di un immaginario che riusciva a raccontare storie molto diverse, in cui lo stile animato e il character design giocavano un ruolo fortissimo nell'incontro tra occidente e oriente. Lì c'era la lezione di Mamoru Oshii alla base, ma ancora indietro nel tempo c'era quel fecondo periodo tra gli anni '80 e '90, in cui Katsuhiro Otomo era la presenza fissa in varie antologie di fantascienza animate (Manie-Manie, Carnival Robot, Memories).

Love, Death & Robots è invece un prodotto più semplice, meno riflessivo, destinato al largo consumo. Il dolore, la morte, la paura possono essere il filo conduttore di un insieme di storie, ma dovrebbero tendere ad uno struggimento dell'animo e suggerire la grandezza della visione umana, che sia tramite un conflitto o anche solo qualcosa da elaborare. Che non vuol dire rifugiarsi nella pura retorica o nella facile morale, ma dimostrare di avere qualcosa da dire. Con tutta la sua morte, sangue, violenza insensata, Love, Death & Robots rischia invece di essere fin troppo consolatorio e superficiale.

Ma, come detto, questo è solo un quadro generale. La serie contiene al suo interno vari spunti validi. Ecco una veloce analisi di tutti i diciotto episodi della serie:

Il vantaggio di Sonnie

In un'arena si consuma la lotta tra due bestie controllate da due esseri umani. Uno dei due è una donna che ha subito una violenza sessuale e lotta per ribadire il proprio controllo su se stessa.

A curare l'animazione dell'episodio c'è la Blur Studio, vecchia conoscenza di David Fincher, dato che era già stata artefice dei titoli di testa di Uomini che odiano le donne. L'episodio contiene in sé tutti gli elementi salienti dell'antologia: toni scuri, violenza esagerata, nudità. Il trauma della violenza sessuale, che viene ampiamente sottolineato dal combattimento dell'arena, riscatta il segmento con una svolta inaspettata.

Tre Robot

Tre robot di forme e dimensioni diverse si muovono come turisti in una città devastata in seguito all'apocalisse che ha spazzato via l'umanità.

Il piglio ironico e le molte battute che vanno a segno non devono trarre in inganno. Qui c'è tutta un'idea di fantascienza che non può fare a meno di confrontarsi con l'idea di fine imminente e rapida della razza umana. In passato il pericolo era l'annientamento nucleare, oggi è il cambiamento climatico. I robot di Asimov lottavano per salvare l'umanità da se stessa, mentre questi tre sono turisti di un passato che non esiste più e che possono a malapena ricostruire, e ricordano più i cani senzienti di Anni senza fine di Simak. Il design e le caratterizzazioni dei tre robot sono azzeccatissime, in particolare quella di uno che ricorda un metronomo gigante con macchina fotografica annessa.

La testimone

Una ragazza in una città orientale assiste dalla sua stanza ad un omicidio che viene compiuto nel palazzo accanto. Fugge in preda al panico, inseguita dall'assassino.

C'è Alberto Miego (Spider-Man: Un nuovo universo) alla regia del progetto, e si vede. Ritmo frenetico, azione instancabile, una palette di colori con il rosa come dominante sfreccia di fronte ai nostri occhi mentre basta il volto truccatissimo della protagonista a dare colore a tutto il resto. L'animazione simula una messa a fuoco continua che accentua il senso di realismo e l'ansia dell'inseguimento di questo strano Lola corre che prepara la svolta fantascientifica (anche se molto prevedibile). Uno dei migliori cortometraggi, di sicuro quello che trasmette la maggiore energia.

Tute meccanizzate

In uno scenario da campagna americana, con il suo senso di isolamento e i fattori che si aiutano l'un l'altro, i personaggi devono respingere un'invasione di creature mostruose. È tempo di salire sopra i mech e sparare a tutto ciò che si muove.

Ancora Blur Studio, che tra le altre cose ha curato le cutscene di alcuni videogiochi della serie Halo. Qui, al di là dello scenario particolare, l'idea è quella dei robottoni massicci che devono sterminare uno squadrone infinito di piccole creature individualmente deboli, ma molto tenaci. L'intuizione più interessante è quella delle fattorie e del senso di condivisione creato tra queste famiglie singole che ne formano una molto grande. Il senso di appartenenza alla comunità piccolissima, e quindi alla difesa del territorio di frontiera, contro la minaccia mostruosa, ricorda Tremors. Il design banale dei mostri potrebbe ricordare Starship Troopers.

Il succhia-anime

Un gruppo di mercenari scorta due scienziati in una pericolosa spedizione che si imbatte nientemeno che in Dracula.

Si tratta di una rivisitazione poco creativa del vampiro di Bram Stoker, l'animazione è curata da uno studio francese. La sfumatura fantascientifica qui deriva da una lettura che dovrebbe essere meno legata alle fantasticherie orrorifiche e più vicina ad una pericolosa ricerca che porta alla luce misteri sepolti nell'oscurità. Dimenticabile.

Il dominio dello yogurt

Una voce narrante ci racconta di come uno yogurt senziente ha preso il controllo dell'umanità.

Questo curato da uno studio spagnolo è l'episodio più breve della serie. È una pura e rapidissima provocazione che gioca sull'incapacità totale degli umani di fare il proprio bene. Il soggetto originale è di John Scalzi, ma probabilmente sarebbe piaciuto a Douglas Adams (Guida Galattica per Autostoppisti).

Oltre Aquila

Un errore durante un salto iperspaziale lancia un'astronave ai confini della galassia. Qui gli umani che si risvegliano trovano qualcuno di familiare ad accoglierli.

Ancora una volta una storia di pulsioni, amara e senza riscatto. C'è qualcosa dei temi di Solaris, ma è superficiale, mentre in prima linea rimane il gusto per lo shock visivo e per la nudità esibita. Il fotorealismo è senza dubbio encomiabile, ma rimane la sensazione, in questo come in altri episodi, di trovarsi di fronte a cutscene di un videogioco che non esiste.

Buona caccia

In una Cina alle soglie di un cambiamento storico, la storia di un giovane che diventa uomo, e il suo rapporto con una donna-volpe.

Questo è il miglior episodio dell'antologia. Lo è dal punto di vista della storia, che non ha paragoni per densità e atmosfera con le altre della serie. Ma è anche l'unico segmento che riesca ad espandersi oltre le costrizioni del minutaggio, tramite un impianto visivo finalmente forte e personaggi che evolvono coerentemente nel corso della vicenda. Addirittura avremmo visto volentieri un lungometraggio basato su questa storia. L'animazione in 2D è finalmente una boccata d'aria fresca. Alla base di tutto c'è un'intuizione che ha un valore fortissimo nel senso della storia e che racconta il passaggio da una mitologia fantastica ad un immaginario steampunk, con tutto ciò che questo comporta.

La discarica

Un vecchio che vive in una discarica racconta la sua storia ad un funzionario che deve sfrattarlo.

Da un racconto di Joe Lansdale, un piccolo segmento molto prevedibile. A questo punto la sgradevolezza dei personaggi e degli ambienti è un elemento ricorrente, che verrà confermato anche nelle puntate successive.

Mutaforma

Due soldati con delle facoltà sovrumane (non sveliamo di più) aiutano il loro distaccamento in Medio Oriente, ma dall'altra parte c'è qualcuno che ha la loro stessa natura.

Primo dei tre corti di ambientazione bellica, tutti caratterizzati dal fotorealismo dell'animazione. Il contesto bellico è interessante, e su tutto corre un discorso di disumanizzazione e imbarbarimento dell'uomo in una situazione di conflitto. Regia dell'italiano Gabriele Pennacchioli.

Dare una mano

Una astronauta, completamente sola, ha pochi minuti prima di morire.

Vedendo questo intenso cortometraggio, che fa del sacrificio e della determinazione umana il suo cardine, verrà in mente Gravity. Un paragone inevitabile, ma questo segmento riesce a sfruttare la sua brevità per trarre il meglio dalla propria storia.

La notte dei pesci

Un padre e un figlio bloccati nel deserto vengono sorpresi da un'apparizione notturna.

Dietro l'animazione di questo corto c'è lo studio polacco che ha lavorato su The Witcher. L'effetto rotoscope nell'animazione è un'interessante variazione, e si adatta bene al carattere psichedelico che definisce la seconda metà del segmento.

Dolci tredici anni

In un conflitto spaziale, a una pilota viene assegnata una nave considerata molto sfortunata.

La Sony Pictures Animation cura questo segmento in cui spicca come protagonista la Samira Wiley di The Handmaid's Tale. Ancora toni spenti nell'animazione, contesto bellico, e la sensazione di trovarsi di fronte ad un'elaborata serie di cutscene di un videogioco.

Zima Blue

Un artista ripercorre la storia della propria vita mentre si prepara a svelare all'umanità la sua opera definitiva.

Uno dei migliori corti della serie sfrutta la voce narrante per costruire un racconto che tende verso la rivelazione finale. Una storia che è espressione del desiderio di essere, di definire se stessi, di partecipare della creazione stessa, e che ricorda nelle premesse L'uomo bicentenario. Regia di Robert Valley, che in passato aveva lavorato su Aeon Flux, e character design molto particolare e d'impatto, che potrebbe ricordare quel prodotto.

Punto cieco

Alcuni cyborg assaltano un convoglio.

Segmento di sola azione, non particolarmente esaltante né dal punto di vista della storia né da quello del design.

L'era glaciale

Una coppia appena trasferitasi in un appartamento scopre che nel freezer vive una civiltà in rapida evoluzione.

Il segmento è diretto da Tim Miller, e ha come protagonisti Topher Grace e Mary Elizabeth Winstead. È un corto live action, quindi già un oggetto estraneo all'antologia. La storia in sé è una variazione senza mordente sull'episodio di Ai confini della realtà intitolato I piccoli uomini, di cui rimane famosissima la parodia dei Simpson in un segmento di Halloween.

Alternative storiche

Una voce narrante spiega le conseguenze storiche dovute alla morte di Hitler in vari ed assurdi modi.

L'idea del multiverso sarebbe simpatica, ma la scrittura non è mai brillante e cade in ogni trappola possibile. In sette minuti il corto viola continuamente le regole che ha appena posto, aggiungendo cause che non hanno senso e immaginando conseguenze casuali. Se volete vedere davvero una bella scrittura applicata a questa idea, recuperate l'episodio Rimedi alla teoria del caos di Community.

Guerra segreta

Un plotone dell'Armata Rossa deve affrontare delle creature mostruose.

Giunti all'episodio finale il senso di già visto è abbastanza forte. Fotorealismo nell'animazione, scenari di guerra, grigiume diffuso appena colorato dai dettagli rossi delle uniformi, tanta violenza e sensazione di vedere la cutscene di un videogioco.

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