Love and Monsters, la recensione
Postapocalittico che non vuole prendersi troppo sul serio, Love and Monsters centra il tono giusto e trova una pregnanza emotiva insospettabile
Qualcuno sembra essersi chiesto cosa succeda al maschio omega in un bunker postapocalittico, quando uscire è pericoloso, bisogna vivere nascosti e la forza diventa uno strumento cruciale di sopravvivenza, che dinamiche si instaurino là dentro e quanto somiglino in fondo a quelle del liceo. Così parte Love And Monsters, dopo un’introduzione che spiega come per distruggere un meteorite diretto verso la Terra si sia scelto di bombardarlo e questo bombardamento abbia liberato un agente mutante che ha colpito solo animali a sangue freddo, tramutandoli in mostri giganti che hanno eliminato il 95% della razza umana. I sopravvissuti si sono nascosti, sono passati 7 anni e Joel è da quel momento che è solo in un bunker dove tutti quelli che non sono morti sono accoppiati.
Per mandare in porto un film con una trama simile e non finire nella copia di Zombieland (con cui comunque flirta tantissimo verso metà) e non finire sbilanciato sulla commedia o sullo smielato più banale, serve una gran capacità di centrare il tono giusto. Per questo la rivelazione del progetto è Michael Matthews, regista sudafricano capace di trovare un equilibrio tra leggerezza da action comedy e serietà sentimentale che fa gridare al miracolo. Matthews non sbaglia letteralmente niente, non sbaglia il design dei mostri (fumettosi, spaventosi, letali e orrendi come possono essere degli insetti giganti ma disegnati con un amore smisurato), non sbaglia i luoghi a basso costo (una spiaggia finale tradisce il fatto che non ci fosse budget per una città postapocalittica) e non sbaglia il lavoro con il protagonista, Dylan O’Brien.
Alla fine ovviamente è questo che il film vuole affermare, che vale sempre la pena di uscire dal bunker e affrontare i rischi ma è così ben fatto che anche un messaggio così smielato suona appropriato.