Love and Mercy, la recensione
Senza nessuna inventiva nè voglia di mostrare il genio di Wilson, Love and Mercy mira solo a raccontare lo stereotipo del genio esageratamente incompreso
Certo la vita di Brian Wilson e i fatti che l’hanno caratterizzata non sono tra i più comuni. Affetto da diversi problemi mentali, entrato sotto l’influenza di un medico che l’aveva soggiogato e stava per sfilargli tutto, questo immenso talento musicale è stato strappato alla libera espressione della sua creatività a partire dall’apice della sua creatività (l’album Pet Sounds), momento in cui si concentra la prima delle due linee temporali del film.
Tutti gli sono contro, tutti sembrano appositamente screditare ciò che invece è ormai acclarato essere stato un suo merito. Certo buona parte delle disgrazie e delle sfortune messe in scena hanno più di una base reale, tuttavia questo film senza mezze misure sembra avere come unico obiettivo esagerare il vittimismo e martoriare il genio per enfatizzare quanto nessuno lo abbia compreso. L’incomprensione come lente per leggere una figura storica. Non è proprio il massimo.
Senza nessun punto di vista sull’influenza, la presenza, la vita e la carriera di Wilson o anche solo su suo posto nel mondo della musica, Love and Mercy è solo un resoconto di fatti, peraltro molto romanzati. Il minimo dell’impegno.