Louis Armstrong: Black & Blues, la recensione

La nostra recensione di Louis Armstrong: Black & Blues, documentario diretto da Sacha Jenkins e presentato alla Festa del Cinema di Roma

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La recensione di Louis Armstrong: Black & Blues, presentato alla Festa del Cinema di Roma

Quando era piccolo (siamo negli anni Dieci) Louis Armstrong cantava e suonava per strada con dei quartetti, vendeva giornali e consegnava carbone nel quartiere a luci rosse di New Orleans. Mentre metteva il carbone nei camini non solo guardava, ma ascoltava le band che suonavano in giro, nei dintorni. Ecco, tutti questi dettagli torneranno in Louis Armstrong: Black & Blues con percorsi circolari perfetti nella sua vita da adulto - amplificati o distorti - secondo un’idea non di “predestinato” (cosa che spesso i doc biografici tendono a fare) ma come semi poi germogliati grazie al talento, la passione e la dedizione.

Con Louis Armstrong: Black & Blues il documentarista Sacha Jenkins costruisce un vero e proprio universo-Armstrong dove gli elementi della vita di “Satchmo”, trombettista e cantante leggendario, si fanno suggestioni per immagini (i pezzi sparsi di giornali che intervallano le fasi di racconto) e spunti narrativi che costruiscono un’immagine di Armstrong di talento enorme, sommessamente tormentato, sempre in bilico tra la sua immensa popolarità presso il grande pubblico e una blackness che sarà per lui non un limite ma una qualità con cui ha sempre dovuto misurare i suoi gesti pubblici e le sue decisioni lavorative.

Sacha Jenkins racconta brillantemente Armstrong da diversi punti di vista, da quello ovviamente strettamente biografico a quello musicale: non si va mai troppo nello specifico musicale del jazz e della sua particolare performatività, ma ci sono comunque riflessioni come quella sullo scat o su come abbia esteso la gamma sonora della tromba e innovato le tecniche di improvvisazione che in pochissime parole rendono chiara la misura della sua grandezza.

È però in ciò che sta nel mezzo, ovvero la riflessione mai definitiva ma frammentata e affascinante sull’essere un musicista nero in un Paese bianco e ancora fortemente razzista, che mette Armstrong in una luce più complessa. È infatti il segregazionismo a venire qui letto attraverso la biografia di Armstrong, non il contrario: una sorta di esempio vivente delle contraddizioni di un Paese dove sul palco sei il mito ma appena scendi quei pochi gradini vivi per forza di cose nel compromesso e nel conflitto. Le prove di questa conflittualità Jenkins le trova raccontando il dietro le quinte dei suoi vari manager, dei contratti che stipulava, dell’organizzazione dei suoi tour. Dettagli che non sono solo esche narrative per musicofili appassionati di Jazz e del business musicale ma prove parlanti di una situazione politica complessa.

Di pure “chicche” in Louis Armstrong: Black & Blues ce ne sono anche: per esempio quando vengono mostrate le uniche immagini esistenti di sue registrazioni in studio, o le sue lettere personali, oltre all'infinito repertorio. Attraverso una narrazione dove non ci sono “teste parlanti” ma un tappeto sonoro di commenti di musicisti e studiosi e di Armstrong stesso che parla in prima persona attraverso immagini d’archivio e nastri (perché Armstrong registrava e annotava qualsiasi cosa), Louis Armstrong: Black & Blues diventa un documentario non solo fluido e magnetico, ma pieno di stimoli e originale.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Louis Armstrong: Black & Blues? Scrivetelo nei commenti!

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