Lost Ember è un viaggio emozionante solo a metà | Recensione
Lost Ember affascina il giocatore con la sua natura florida e un po' misteriosa e lo cattura con un racconto efficace: la nostra recensione
Lost Ember è un viaggio emozionante solo a metà | Recensione
Lost Ember per mettere in scena la storia che vuole raccontare risponde subito e in maniera del tutto convinta a uno degli interrogativi che più attanagliano l'animo umano: “c'è vita dopo la morte?”. C'è, c'è eccome. Nella teologia dell'opera prima di Mooneye Studios le anime belle vanno a vivere in una città splendente, tra i cieli, la Città della Luce, la chiamano, quelle che in vita si son date al peccato si reincarnano in animali. Ed è un dato di fatto, non c'è alcun dubbio in questo, manca totalmente quell'elemento di mistero che nella religione è normalmente imprescindibile e inconoscibile. Paradossalmente anche per coloro che hanno vissuto nel vizio, nella cattiveria, nella violenza, tornare in vita, anche se in altri panni, può essere lo stesso bellissimo, perché bellissimo è il mondo che si torna a calpestare, lo stesso che, con grandissimo effetto, colpisce il giocatore quando esce, guidando il lupo che del racconto è il protagonista, dalla grotta nella quale il gioco prende inizio.
Anche nella maniera nella quale viene motivata la progressione c'è poco mistero in realtà. Si seguono le indicazioni dell'anima perduta perché così impone il gioco e di conseguenza si percepisce una certa artificiosità nel modo in cui viene imbastito un legame che non ha praticamente modo di svilupparsi, dato che viene deciso che sia del tutto normale fidarsi di un'entità incontrata praticamente per caso. È questo il primo segnale di una scrittura non raffinatissima, di una certa incapacità da parte degli sviluppatori nell'impreziosire la narrazione con un qualunque tipo di raffinatezza. Il che, in una produzione che utilizza la ludica come metodo di fruizione di un racconto, non è decisamente il massimo.
Per attraversare un mondo che, come uno scrigno, custodisce segreti dolci e terribili, storie d'amore e di violenza, spesso si abbandona l'agile e scattante corpo del lupo, per entrare in quello di un rotondo vombato, o di un'anatra, di un colibrì, di un armadillo, ognuno con piccole caratteristiche proprie che pochissimo aggiungono al gameplay ma molto fanno per rendere ancora più viva la natura che fa da teatro al gioco. Non è però quanto basta per soprassedere su evidenti problematiche di design e tecniche: il mondo è in realtà molto meno esplorabile che all'apparenza, la progressione è molto lineare, non di rado ci si trova di fronte a muri invisibili o ad altri ostacoli a prima vista tranquillamente superabili. Sono queste evidenze della mancanza di un vero lavoro di rifinitura, come testimoniano ulteriormente un frame rate molto ballerino, animazioni rivedibili, bug di vario genere e una telecamera che tende sempre a schiacciare troppo l'inquadratura.
A quanto, e non è poco, Lost Ember fa per affascinare il giocatore con la sua natura florida e un po' misteriosa e per catturarlo con un racconto efficace e toccante, per quanto a tratti fin troppo diretto, non si abbinano dunque una struttura e una cura tali da renderlo esperienza capace di irretirlo totalmente, ovvero quello che dovrebbe essere l'obiettivo di una produzione videoludica di simile concezione, dall'elevato impatto sensoriale ed emotivo e dal ridotto gameplay.