Los Colonos, la recensione
Esordio di un promettente regista cileno, Los Colonos è un grande "anti-western" che attacca frontalmente la storia insanguinata del paese.
La recensione di Los Colonos, il nuovo film diretto da Felipe Gálvez Haberle, in arrivo al cinema dal 7 marzo.
Los Colonos può essere letto come un saggio sullo sguardo, inteso come memoria e testimonianza storica, diviso abbastanza nettamente in due parti. Nella prima un ragazzo per metà Indio (Camilo Arancibia) viene reclutato da due soldati per “ripulire” dai nativi le terre di un ricco proprietario terriero (Alfredo Castro). Una strage che ricorda le odissee sanguinarie dei romanzi di Cormac McCarthy; ma a differenza del protagonista muto di Meridiano di sangue (1985) il nostro giovane non rimane indifferente alle violenze: riflette, tenta coraggiosamente di resistere, e soprattutto guarda.
La fotografia di D’Arcangelo, degna del grande Gordon Willis, ammanta le stanze del potere di un’oscurità gravida di senso politico. E Haberle racconta spietatamente come gli stati costruiscano la messa in scena di una verità ufficiale comoda. Non è il primo film cileno degli ultimi anni a farlo: qualche anno fa Blanco en Blanco di Théo Court (2019) aveva detto cose molto simili raccontando la storia di un fotografo di matrimoni incaricato di comporre le foto-trofeo dei massacri di nativi Selk'nam. Qui c’è una scena quasi uguale, ma ancora più perversa perchè obbliga persone vive e vegete a mettersi in posa per le menzogne dei libri di storia. Non a caso entrambi i film vedono la presenza del grande Alfredo Castro, che anche grazie al lavoro con Pablo Larraìn è attore simbolo di un cinema cileno contemporaneo politicamente graffiante, impegnato a setacciare i lati più oscuri della storia del paese.